Oggi andiamo a…. Ravenna

Ravenna si può definire con certezza un tesoro sconosciuto alla maggioranza degli italiani. Oscurata dalle più famose città d’arte italiane (Firenze, Roma, Venezia, Napoli) è in realtà una cittadina straordinaria che attira turisti e appassionati d’arte da tutto il mondo. Pochi sanno che è stata per tre volte, capitale di tre imperi: dell’Impero Romano d’Occidente, di Teodorico Re dei Goti, dell’Impero di Bisanzio in Europa. Questo passato è testimoniato dalle basiliche e dai battisteri di Ravenna, dove si conserva il più ricco patrimonio di mosaici dell’umanità risalente al V e VI secolo. Pochi sanno anche che Ravenna ha otto monumenti inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e che le spoglie di Dante sono conservate qui, e non a Firenze. Si mangia straordinariamente bene (siamo sempre in Romagna) e d’estate ci sono 35 chilometri di costa tra cui scegliere per farsi un bagno. Per chi ama la natura, a pochi chilometri c’è il Delta del Po e le Valli di Comacchio, oltre alle pinete di Classe e San Vitale e l’oasi di Punte Alberete. Insomma, se anche voi eravate tra quelli che non conoscevano Ravenna, ora non avete più scuse. Scoprite con noi le 10 cose da vedere e fare assolutamente durante una visita a Ravenna.

Il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

Avvicinandosi al Mausoleo di Galla Placidia non si immagina che la semplicità dell’esterno nasconda in pochi metri quadrati così splendidi mosaici, i più antichi di Ravenna. Non esageriamo se affermiamo che l’atmosfera del Mausoleo è magica. Fu l’imperatore Onorio (che trasferì nel 402 la capitale dell’ impero d’occidente da Milano a Ravenna) a volere questo mausoleo per dedicarlo alla sorella Galla Placidia. Il tema dei mosaici, infatti, è la vittoria della vita sulla morte, in accordo con la destinazione funeraria dell’edificio. Ma è il cielo stellato riprodotto sulla volta a colpire più di tutto la fantasia dei visitatori e a restare impresso per sempre negli occhi. Pare che la stessa cosa sia accaduta a Cole Porter, che andò a Ravenna in viaggio di nozze alla fine degli anni ’20. La storia racconta che fu proprio il cielo stellato del mausoleo a ispirargli la famosissima Night and Day.

Come: a piedi dal centro di Ravenna
Quando: tutti i giorni dalle 9 alle 19. Mai: 25 dicembre
Quanto: Euro 9.50 (biglietto cumulativo comprensivo di: S.Apollinare Nuovo, Battistero Neoniano, San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia, Museo e Cappella Arcivescovile)

La Basilica di San Vitale a Ravenna

Questo tempio a forma ottagonale (l’otto era simbolo di Resurrezione perché era sette, il tempo, più uno, Dio) è fra i monumenti più importanti dell’arte paleocristiana in Italia. Non solo per lo splendore dei suoi mosaici ma per la completa adesione ai canoni dell’arte orientale: non ci sono navate ma solo un nucleo centrale a pianta ottagonale sormontato da una cupola affrescata. Se riuscite a staccare gli occhi dai mosaici, soprattutto dal volto di Teodora, noterete a terra una serie di cerchi concentrici con delle frecce: è un labirinto, come si trovano in molte chiese cristiane. Simboleggia il percorso di uscita dal peccato verso la purificazione. Se volete provare a uscire dal labirinto, vi diamo un piccolo aiuto: si parte dal centro, il resto scopritelo voi.

Come: a piedi dal centro di Ravenna
Quando: tutti i giorni dalle 9.00 – 19.00. Chiusura biglietteria ore 18.45.
Mai: il 25/12
Quanto: Euro 9.50 (biglietto cumulativo comprensivo di: S.Apollinare Nuovo, Battistero Neoniano, San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia, Museo e Cappella Arcivescovile)

La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo

Da non confondere con Sant’Apollinare in Classe che si trova fuori dal centro storico, a 8 km da Ravenna, la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo porta questo nome per differenziarla da un’altra chiesa cittadina che portava lo stesso nome: ospita il più grande ciclo di mosaici del mondo. Le pareti della navata centrale sono divise in tre fasce di mosaici ben distinte: la fasci più alta racconta la vita di Cristo, quella centrale Santi e Profeti e mentre quella inferiore ritrae il famoso Palazzo di Teodorico. La cancellazione della figura dell’Imperatore e di altri personaggi, ricoperti da drappi bianchi, avviene nel momento in cui la basilica passa dal culto ariano (per cui era stata costruita) al culto cattolico. Sulla parete di fronte è ritratto il porto di Classe, uno dei più importanti del Mediterraneo ai tempi dell’Impero Romano.

Come: a piedi dal centro storico
Quando: tutti i giorni dalle 9.00 – 19.00. Chiusura biglietteria ore 19.00.
Mai: 01/01 e il 25/12
Quanto: 9.50 € (biglietto cumulativo comprensivo di: S.Apollinare Nuovo, Battistero Neoniano, San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia, Museo e Cappella Arcivescovile

Il Mausoleo di Teodorico

Secondo la leggenda la vasca in porfido rosso che si trova al piano superiore del Mausoleo è la stessa in cui trovò la morte l’Imperatore barbaro. Poiché aveva paura dei fulmini, in un giorno di temporale si rifugiò nel suo mausoleo ma un fulmine venne a colpirlo proprio mentre stava facendo il bagno. Dalla fessura a forma di croce aperta nel tetto del Mausoleo, sarebbe poi arrivato un cavallo nero che lo avrebbe gettato nell’Etna! Sono tante le leggende sulla morte di questo re Barbarò che governò l’Italia per 33 anni portando tolleranza, pace e ricchezza e che si fece costruire questo mausoleo in pietra d’Istria affinché trovasse pace a Ravenna, dove aveva vissuto. La struttura a due piani a forma decagonale e con un massiccio tetto fatto con un unico blocco di pietra lo rende un monumento singolare, completamente differente rispetto agli edifici in mattone di Ravenna.

Come: appena fuori dalle mura nella zona della Rocca Brancaleone. Autobus linea n. 2-5
Quando
: tutti i giorni dalle 8.30 – 19.30. Chiusura biglietteria ore 18.30
Quanto: Euro 4.00. Museo Nazionale di Ravenna e Mausoleo di Teodorico: Euro 8.00 (ridotto Euro 4.00) – Museo Nazionale di Ravenna, Mausoleo di Teodorico e Basilica di Sant’Apollinare in Classe: Euro 10.00 (ridotto Euro 5.00)

La Basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna

Tra le basiliche di Ravenna è quella più imponenete e maestosa. I mosaici sfidano per bellezza quelli delle altre chiese della città e ritraggono Cristo circondato dai quattro evangelisti, mentre le pecore simboleggiano gli apostoli. Il volto di Gesù compare al centro della Croce, in un tondo decorato con 99 stelle. Tutta la rappresentazione si svolge tra il cielo e l’incanto di un verde paesaggio paradisiaco ricco di rocce, alberi, fiori ed uccelli variopinti. Oggi la Basilica di Sant’Apollinare in Classe si trova a 8 km dal centro di Ravenna e a qualche chilometro dal mare, mentre quando venne costruita si trovava in riva al mare.Accanto alla basilica, infatti, ci sono gli scavi della grande area archeologica dell’antica città di Classe, sede della flotta romana nell’Adriatico.

Come: con l’auto o l’autobus N. 4 o col treno e 5 minuti a piedi.
Quando: tutti i giorni dalle 8.30 – 19.30. Chiusura biglietteria ore 19.00.
Quanto: Euro 5.00. Biglietto cumulativo con Museo Nazionale e Mausoleo di Teodorico: € 6.00 – Museo Nazionale, Mausoleo di Teodorico e Basilica di Sant’Apollinare in Classe: € 8.00

Il Mausoleo-Tomba di Dante a Ravenna

Per molti è una sorpresa scoprire che la Tomba di Dante si trovi a Ravenna e non a Firenze. Dante morì a Ravenna durante il suo esilio e nonostante i ripetuti tentativi di riportarlo nella città natale, è ancora qui. I Francescani del vicino convento trafugarono e conservarono gelosamente le ossa di Dante per diversi secoli, opponendosi alla volontà di sovrani e papi di riportare le spoglie a Firenze. Furono sempre loro a salvarle dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Oggi a ricordare Firenze e la toscana c’è la lampada votiva settecentesca alimentata con olio d’oliva degli appennini toscani che viene donato ogni anno (la seconda domenica di settembre) dalla città di Firenze.

Come: a piedi dal centro di Ravenna
Quando: tutti i giorni dalle 10.00-18.30
Mai: 1/11, 25/12 e l’1/1
Quanto: gratis

Il Battistero degli Ariani a Ravenna

l Battistero degli Ariani di Ravenna fu costruito durante il regno di Teodorico, quando Ravenna era la capitale dell’Impero e l’arianesimo era religione ufficiale della corte. L’arianesimo è sempre stato considerato un’eresia del Cristianesimo perché secondo la dottrina ariana Cristo era figlio di Dio ma conservava la sua natura umana: solo attraverso il rito del battesimo che la natura divina fu comunicata a Cristo. I mosaici sulla volta del battistero celebrano proprio il battesimo di Cristo. A differenza del vicino Battistero degli Ortodossi, qui il giovane Cristo non viene rappresentato come proveniente da Oriente (“luce da luce, Dio vero da Dio vero”) ma si dirige verso oriente, diventando divino solo nel momento del battesimo. E’ un uomo, quindi non c’è “censura” sulla sua nudità, mentre è immerso nelle acque del Giordano e Giovanni Battista gli comunica il Battesimo. Dall’alto scende la colomba divina, ad irrorare con un soffio di luce, simbolo dello Spirito, il capo del Cristo.

Dove: a piedi dal centro di Ravenna
Quando: tutti i giorni dalle 9 alle 19.30
Quanto:gratis

Il Battistero Neoniano o degli Ortodossi a Ravenna

Il Battistero Neoniano fu la risposta cattolica (del vescovo Neone) all’eresia Ariana, che proprio in Ravenna aveva avuto il massimo splendore sotto il regno di Teodorico. Una contrapposizione che si ritrova anche nel Cristo raffigurato nel mosaico sotto la cupola, che a differenza di quello nel vicino Battistero degli Ariani viene da Oriente (“luce da luce, Dio vero da Dio vero”) ed è divino anche prima del battesimo comunicatogli da Giovanni Battista e dalla colomba divina (gli ariani affermavano il contrario). Si racconta che Carl Gustav Jung (il famoso psicologo) in un suo viaggio a Ravenna negli anni 30 vide nel Battistero Neoniano, un mosaico che rappresentava Cristo mentre tende la mano a San Pietro che sta per affogare. Discusse a lungo di questa immagine con la sua compagna di viaggio e la interpretò come un segno della morte e della rinascita. Solo molto tempo dopo, quando cercò una foto del Battistero Neoniano, si accorse che quell’immagine non esisteteva ed era stata il frutto della sua immaginazione. Jung usò quell’episodio per scrivere bellissime pagine sul rapporto tra inconscio e coscienza e di come anche l’imaginazione modifichi il modo in cui vediamo la realtà.

Come: a piedi dal centro di Ravenna
Quando: tutti i giorni dalle 9 alle 19.00
Quanto:Euro 9.50 (biglietto cumulativo comprendente: S.Apollinare Nuovo, Battistero Neoniano, San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia, Museo e Cappella Arcivescovile)

Il Planetario di Ravenna

Il Planetario non è uno dei monumenti più conosciuti di Ravenna, ma è certamente una delle cose da non perdere durante una visita in città. Se vi attira ammirare stelle, pianeti e sistema solare, il Planetario di Ravenna è il posto giusto. Sopra una sala con 56 posti a sedere c’è una cupola di 8 metri di diametro su cui viene proiettata l’immagine artificiale della volta celeste, così come si dovrebbe vedere ad occhio nudo (se non ci fossero inquinamento da luci e da smog). Si spengono le luci e appaiano davanti a vostri occhi, a pochi metri, 3.000 stelle suddivise nei due emisferi: dalla stella Polare alle Nubi di Magellano, dalla costellazione di Cassiopea a quella della Croce del Sud. Un sistema automatico permette di comandare e velocizzare i movimenti degli astri, riproducendo l’alternarsi del giorno e della notte e osservare tutti i pianeti del nostro sistema mentre percorrono i loro movimenti lungo le orbite attorno al sole. All’esterno dell’edificio c’è un grande orologio solare con un quadrante e due meridiane e un Cerchio di Ipparco che permette di conoscere il momento dell’equinozio.

Come: nei giardini pubblici a 300 metri dalla stazione. Con l’auto o l’autobus N. 4.
Quando: tutti i martedi alle 21.00. Per appuntamento Telefono: 0544 62534
Quanto: Euro 5.00.

Cosa e dove mangiare a Ravenna

Ve lo diciamo da subito: Ravenna non è un posto per chi sta cercando di rimettersi in forma, a meno che non abbia una volontà di ferro per resistere all’abbondante, grassa, succulenta e caloricissima cucina romagnola. Si inizia di solito con affettati misti e squacuerone, si prosegue con cappelletti e tagliatelle al ragù, si passa alla carne, ai pesci e frutti di mare o agli ospiti degli abbondanti canali locali, come anguille e rane. Si finisce con un dolce al mascarpone e si accompagna tutto con Albana, Sangiovese, Trebbiano o Pagadebit. Due buoni posti dove assaggiare la cucina tipica locale sono Cà De Vèn e la Locanda del Melarancio in pieno centro storico. Per una piadina al volo ci sono la Piadina del Melarancio sempre in centro e molti altri posti più o meno gradevoli.

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Oggi andiamo in… Carnia

Un mondo di montagne incantate: ecco la Carnia

Al confine con Austria e Veneto, s’apre un grande “villaggio” con sette valli che solcano le magiche Alpi carniche. Valli che hanno custodito intatti un coloratissimo universo folcloristico e una natura sempre protagonista.

Borghi autentici
Percepire il tempo in modo diverso, riappropriandosi dei ritmi della natura. Passeggiare per borghi pittoreschi, lasciandosi inebriare da profumi, suoni e voci. Scoprendo i segreti di una quotidianità legata ai riti agricoli e all’artigianato. E stupendosi della genuina bellezza di case in pietra e in legno. Dove si può anche soggiornare, grazie all’albergo diffuso, che in Carnia impreziosisce diversi paesi.

La natura ti parla

Dal Parco delle Colline Carniche, con tracciati dolci da percorrere a piedi, a cavallo e in mountain bike, al Parco naturale delle Dolomiti Friulane, dove fare trekking e alpinismo tra vette maestose. E incontrare caprioli e marmotte. Il piacere della scoperta non trova mai fine, tra cascate, canyon e laghi d’alta quota.
Scopri tutte le date e le mete delle escursioni e passeggiate guidate in Carnia!

Benessere totale
Lungo la Via delle Malghe e i percorsi di prima linea della Grande Guerra. Per poi raggiungere bivacchi e rifugi, numerosi in tutta la Carnia. D’inverno con gli sci ai piedi, nei poli sciistici di Ravascletto-Zoncolan, Forni di Sopra e Sauris. Tutto l’anno, poi, le Terme di Arta offrono dolci momenti rigeneranti.

Prodotti tipici
Prosciutto affumicato di Sauris, cjarsòns (ravioli dolci o alle erbe), erbe spontanee usate per insaporire primi e frittate, sciroppi e marmellate ai frutti di bosco. Fino a particolarità come la schultar fumada (spalla di maiale affumicata). . Sono solo alcune delle specialità enogastronomiche della Carnia che sfruttano i doni della terra e antiche saggezze.

Andar per botteghe
Dalla tessitura, alla lavorazione della ceramica, della pietra, del ferro e del legno, che trova nell’evento settembrino Magia del legno di Sutrio una delle vetrine più prestigiose. Gli artigiani, in Carnia, custodiscono sapienze tramandate di generazione in generazione. Per dar vita a preziosi manufatti.

A tutto folclore
Passeggiando per i boschi, potreste scorgere buffi e dispettosi folletti. Gli sbilfs, come li chiamano qua. E di notte vedere rotelle infuocate che scivolano giù lungo pendii appartati: sono las cidulas, con cui i giovani dichiarano il nome della propria amata. O incontrare le strane creature che popolano il carnevale di Sauris, il più antico delle Alpi. Tradizioni che si perdono nella notte dei tempi.

Altro che pezzi da museo
Scoprite Pesariis (località di Prato Carnico), il “paese degli orologi” di tradizione settecentesca; la Mozartina di Paularo, un museo vivo dove ascoltare clavicembali e violini; il Mulin dal Flec di Illegio (piccola e incantevole località di Tolmezzo che ospita importanti mostre d’arte), con un antichissimo mulino ancora funzionante; la Farie di Checo, a Cercivento, un opificio del Quattrocento. A Tolmezzo, poi, c’è un compendio di storia e anima della Carnia: il Museo delle arti e tradizioni popolari. Il Presepe di Teno, a Sutrio, è uno straordinario frutto di quasi 30 anni di lavoro dell’artigiano Gaudenzio Straulino: un’opera che lascia a bocca aperta per la minuzia dei particolari, visitabile in estate e nel periodo natalizio anche in occasione dell’evento “Borghi e Presepi” di Sutrio.

Sport e attività nella natura
Una natura magica da scoprire, quella della Carnia, anche attraverso il ricchissimo programma di escursioni naturalistiche dell’Agenzia TurismoFVG (prenotazione obbligatoria). Nel calendario programmato ci sono anche passeggiate a cavallo, mountain bike, nordic walking, canyoning, attività per bambini e molto altro.

Ricca di luoghi naturali, ma anche di storia e di arte, di eventi e tradizioni, la Carnia, l’area montana a nord-ovest del Friuli Venezia Giulia, offre molteplici opportunità per il tempo libero lungo l’intero arco dell’anno. Per chi ama ardite scalate alpinistiche, come per chi è alla ricerca di più facili escursioni le Alpi e Carniche e le Dolomiti Friulane sono un luogo di vacanza ideale. Si possono scoprire a piedi, in mountain bike o a cavallo d’estate, con gli sci o le ciaspe d’inverno, percorrendo agevoli sentieri ben segnalati o spettacolari percorsi su creste mozzafiato.

Gastronomia

Genuina e naturale. Si può sintetizzare, così, in due parole, la cucina carnica, caratterizzata da piatti legati ai prodotti locali e alle stagioni, tramandati dalla tradizione popolare e oggi proposti nel rispetto degli antichi insegnamenti o rielaborati con nuovi abbinamenti e preparazioni. Non c’è vacanza senza un buon mangiare? Allora è il momento di scoprire l’autentica bontà della cucina carnica, per poi non poterne farne più a meno.

Itinerario Valle del But

Partendo da Cavazzo Carnico, imboccata la salita verso Cesclans, si giunge alla Pieve di Santo Stefano, recentemente riaperta al culto, dove le indagini archeologiche effettuate nel sottosuolo hanno permesso di datare intorno all’ VIII-IX secolo, i resti di un edificio di culto dotato di un torrione all’ingresso. La storia degli scavi e della Pieve è ora illustrata nel vicino spazio museale, l’Antiquarium. Una volta scesi dal colle e raggiunto il capoluogo carnico, merita una visita la Santa Maria Oltre Bût o Pieve di San Lorenzo, tra Caneva e Casanova, che, dalla sua posizione in cima ad un colle, domina buona parte della vallata. Lo stesso vale per la Pieve di San Floriano a Illegio che, dalla sommità del Monte Gjaideit, dove è stata costruita, si impone sulla prima parte della Valle del Bût. Percorsa la Strada Statale 52 bis in direzione di Arta, la pieve è raggiungibile solo a piedi, imboccando il sentiero all’altezza di Imponzo: si tratta di una passeggiata piacevole, che si snoda tra ameni ambienti rurali e naturali e scorci panoramici di indiscussa bellezza. Alla Pieve si giunge a piedi anche da Illegio, dove si possono visitare gli scavi di San Paolo vecchia. Una volta ridiscesi, il viaggio prosegue in direzione di Zuglio, sito archeologico romano di notevole rilievo (da visitare l’area archeologica e il Museo). Sono tuttora visibili il Foro romano, centro della vita politica, economica e religiosa, dotato di porticato, tempio e basilica civile, nonché alcune costruzioni private. Nel Museo Archeologico si possono ammirare i reperti provenienti dagli scavi di Iulium Carnicum e quelli relativi ad insediamenti preromani in Carnia. Continuando il percorso verso Fielis, si può arrivare a piedi alla Pieve di San Pietro, seguendo una suggestiva stradina che si conclude con un’ampia scalinata finale.
(tratto dalla pubblicazione “Tra storia e fede” – ottobre 2011)

Itinerario Val Degano

Nella Val Degano, a Ovaro, possiamo ammirare sia gli scavi archeologici della Chiesa di San Martino, sia la Pieve di Gorto sull’altura di Agrons. Tra le undici pievi storiche della Carnia, la Pieve di Santa Maria a Gorto è la più estesa del territorio e fino a pochi anni fa si riteneva fosse la più antica chiesa battesimale della vallata. I recenti scavi eseguiti presso la chiesetta di San Martino hanno dimostrato, invece, la presenza di un battistero monumentale e di una vasca battesimale molto più antichi. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, la chiesa attuale si apre su tre navate. Sulle pareti interne si conservano ancora lacerti di affreschi del XIII secolo, sui quali spicca una scena relativa alla Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte. Alla destra dell’altare si trova il coro in legno intarsiato, di fine Seicento. In una saletta sulla destra del coro è ospitato un piccolo Museo dove sono stati raccolti reperti archeologici e altri oggetti sacri risalenti ad epoche più recenti.
(tratto dalla pubblicazione “Tra storia e fede” – ottobre 2011)

Itinerario Valle del Tagliamento

Nella Valle del Tagliamento si trova la Pieve di Santa Maria Maddalena di Invillino, edificata sul Colle Santino dopo l’abbandono della basilica paleocristiana, ora musealizzata, che sorgeva sul Col di Zuca. Villa Santina, oltre che per la basilica, si segnala per il vasto insediamento fortificato del Colle Santino, con fasi cronologiche che vanno dal Neolitico (V-IV millennio a.C.) al Medioevo e che da alcuni studiosi è stato identificato con la Ibligo menzionata da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum. Sempre nella valle del Tagliamento, a Socchieve, in località Castoia, si trova la Pieve di Santa Maria Annunziata, unica superstite di un antico complesso cultuale composto da tre chiese. A differenza di altre Pievi, collocate in altura, la Pieve di San Martino a Verzegnis sorge in paese. A breve distanza è possibile visitare un insediamento pluristratificato e fortificato portato alla luce sul Colle Mazéit. La Pieve dei S.S. Ilario e Taziano a Enemonzo, originaria forse dell’XI secolo, è stata ricostruita nel XVIII secolo. All’interno presenta tre navate ed un’abside quadrata e conserva opere d’arte appartenenti prevalentemente all’Ottocento. La Pieve di Ampezzo ha avuto una breve esistenza, tanto che, alla fine del XIV secolo, risultava sotto la giurisdizione di Socchieve, trasformandosi in parrocchiale. L’attuale chiesa risale alla metà del Settecento, ha subito pesanti rimaneggiamenti nell’Ottocento ed è stata restaurata dopo il 1976. Custodisce, al suo interno, dipinti e tele di Nicola Grassi, uno dei maggiori artisti carnici del Settecento. E’ stato progettato, invece, dall’architetto carnico Domenico Schiavi l’edificio che ha sostituito la vecchia Pieve di Forni di Sotto e che, successivamente, è stato incendiato nel 1944. Attualmente la Chiesa di Santa Maria del Rosario, ricostruita nel 1953, ospita opere provenienti anche da altre chiese. (tratto dalla pubblicazione “Tra storia e fede” – ottobre 2011)

Oggi andiamo… al Parco Naturale dei Monti Lessini

i Monti Lessini o Montagna Veronese


Un mondo ricchissimo, variegatissimo, interessantissimo, fatto di natura e di storia.
Dalle rocce della Lessinia provengono i più fantastici fossili che possiamo vedere nel Museo delle Scienze Naturali di Verona. Pesci, conchiglie e piante fossili.

La frequentazione dell’uomo, in queste vallate, si perde nella notte dei tempi e ci consegna reperti di un ‘sistema vita’ vivo fino a poco tempo fa’.
Soprattutto sono le testimonianze della cultura Cimbra a caratterizzare questa terra.

Un vasto altipiano prativo dal quale scendono, a pettine, profonde vallate dette localmente ‘vaj’…
…ma potremo definirlo anche un grande museo all’aperto!

  • archeologia
  • etnografia
  • ambienti rurali, pascoli
  • altissimo interesse geomorfologico e paleontologico
  • fotografia e paesaggio
  • sport, tempo libero, escursionismo, mountain bike, sci nordico

 Parco Naturale Regionale Lessinia

Parco Naturale Regionale della Lessinia

istituzione 1990
superfice 10.400 ha
area montagna Veronese, monti Lessini tra Verona e Vicenza
ente gestore Ente Parco della Lessinia (Regione del Veneto)
web www.lessiniapark.it
sede Ente Parco della Lessinia – Bosco Chiesanuova (Verona)
ente Comunità Montana della Lessinia – Verona
indirizzo via Ca’ di Cozzi, 41 – 37124 Verona
web www.lessinia.verona.it
comuni interessati provincia di Verona
– Badia Calavena, Bosco Chiesanuova, Cerro Veronese, Dolcé, Erbezzo, Fumane, Grezzana, Marano di Valpolicella, Roncà, Roveré Veronese, Sant’Anna d’Alfaedo, San Giovanni Ilarione, Sant’Ambrogio di Valpolicella, San Mauro di Saline, Selva di Progno, Tregnago, Velo Veronese

provincia di Vicenza
– Altissimo, Crespadoro

centri visita e musei
  • Centro Cultura Cimbra e Museo Etnografico – Giazza (Selva di Progno) – tel.045.7847050
  • malga Derocon – Erbezzo – tel.045.7075013 ?
  • parco delle cascate di Molina – tel.045.7720039
  • museo botanico di Molina di Fumane – tel.045.7720185
  • museo dei fossili di Bolca (Vestenanova) – tel.045.6565088
  • museo dei fossili di Roncà – tel.045.7460477
  • museo Paleontologico e Preistorico di Sant’Anna d’Alfaedo – tel.045.7532656
  • museo Geopaleontologico di Camposilvano (Velo Veronese) – tel.045.6516005
  • museo dei Trombini di San Bortolo delle Montagne (Selva di Progno –
  • museo Civico Etnografico di Bosco Chiesanuova – tel.045.6780280
  • museo del Ferro Battuto di Tregnago – tel.045.6508630
  • museo Etnografico dei Crespadoro – tel. 0444.429023
  • Molino Sengio a Stallavena
  • Museo della cultura contadina di San Bricco di Lavagno – tel.045.8740104
  • Museo di Cerro Veronese – tel.045.7080055
  • Museo Civico di Storia Naturale di Verona
approfondimenti Parchi Cimbri Lessinia
English

Lessinia

The Lessinia Regional Natural Park covers an area af more than 10.000 hectares and spreads over the Lessinia highlands.
The Park extends north of Verona up to the border with Province of Trento and features several deep valleys descending from the highlands and almost reaching the town of Verona.
It shows a number of natural and paleontological sites of great interest.
These valleys, called ‘vaj’, have extremly steep walls and are entirely covered with trees such as firs and beeches; they make a breath-taking scenic impact.
On the other hand, in the high altitude area of the tableland, the woods give way to vast expanses of pasture.
Spread throughout the highlands, natural formations provide an additional element of uniqueness not only in Italy but in Europe too.
The region also offers a vast number of floral species typical of hilly and montainous area, such as the large cornflower, the colombine and the rock rampion that can be found in the Revolto Valley and the Carega Chain.
As far as the fauna is concerned, Lessinia is renowned for its wealth of invertebrates in its natural and artificial limestone caves where some endemites still live, though their numbers are diminishing.
These are unique examples of ‘living fossil’ and represent one of th most interesting attraction in the park.
(tratto da un depliant dell’Ente Parco Lessinia)

rifugi alpini, malghe, agriturismo

nome recapito località alt note
malga Parparo Vecchio 045.7835476
www.camposilvano.it
Parparo di Sotto, Roverè Veronese
N45°39’03.3″  E11°05’41.0″
1.400 bar ristorante privato
rifugio Prima Neve 045.4852421
www.rifugioprimaneve.it
San Giorgio, Monte Tomba altopiano Podestaria
N.45°42’31.2″ E.11°03’26.8″
1.766 privato, seggiovie piste sci
rifugio locanda Podestaria 045.7050839 BoscoChiesanuova, altopiano Podestaria, strada dei Cordoni
N.45°42’03.2″ E.11°02’49.8″
1.655 privato
rifugio Bocca di Selva 045.4858739
www.rifugioboccadiselva.com
BoscoChiesanuova, altopiano Podestaria
N.45°40’38.8″ E.11°03’02.6″
1.550 privato
malga Lessinia Castelberto, strada dei Cordoni 1.625 agriturismo privato
rifugio Passo Fittanze passo Fittanze della Sega 1.393 privato

Parco naturale regionale dei Monti Lessini – schede e fotografie

Lessinia, montagna veronese

Il parco della Lessinia occupa quasi totalmente un vasto tavolato calcareo delle prealpi venete, ai margini della pianura veronese tra la valle del fiume Adige, la valle di Ronchi in provincia di Trento e le strutture delle Piccole Dolomiti-Pasubio nell’alto vicentino.
L’altopiano è inciso da profonde vallate, i ‘vaj’, derivati da profonde fratture tettoniche poi modellate dall’erosione torrentizia.
Al parco fanno parte anche siti naturalistci non contigui con l’area dell’altopiano lessino, come le Cascate di Molina, la Valle delle Sfingi, Purga di Velo, Pesciaia di Bolca, i Basalti colonnari di San Giovanni Ilarione e gli Stradi di Roncà.
Le rocce prevalenti sono i Calcari Grigi i Calcari Oolitici, il Calcare Rosso Ammonitico e la Scaglia Rossa Veneta, che tendono alla Dolomia Principale nel nucleo più interno e articolato nell’alto vicentino. Sono tutte rocce di origine sedimantaria marina, in parte contenenti fossili, anche molto copiosi come a Bolca, venuti alla luce 40 mil. di anni fa, tuttavia non mancano nuclei e infiltrazioni di roccia magmatica, basalti e tufi, con formazioni tipiche come ad esempio i coni delle ‘Purghe’.
Il parco ha notevole rilevanza naturalistica con tre aree SIC e Zone di Protezione Speciale.
La parte alta dell’altopiano è quasi totalmente vocata a pascolo d’alta quota, per la natura magra del substrato e le difficili condizioni climatiche che lo avvicinano alle Highlands scozzesi.
Gli scoscesi pendii dei Vaj a bassa quota e le vallate sono prevalentemente occupate da boschi cedui, mentre le zone prative offrono spettacolari fioriture anche di preziosi endemismi.
S’impone la presenza umana risalente all’Uomo di Neandertal come al Ponte di Veja, già nei periodi interglaciali, e ai primi Sapiens prima dell’ultima glaciazione, circa 35.000 anni fa, con testimonianze di pitture rupestri come alla Grotta di Fumane, ritenute tra le più antiche al mondo.
La presenza più rilevante, tutt’ora pregnante, è dovuta alla migrazione medioevale di pastori e boscaioli provenienti dalla Baviera, successivamente denominati ‘Cimbri’, che hanno avuto vaste concessioni sfruttate con il disboscamento di vaste aree, la produzione di carbone, l’alpeggio.
Le enclavi cimbre, diffuse in Lessinia, nell’alto vicentino, nell’altopiano di Asiago, nell’alta Valsugana, si sono manifestate con una propria lingua, cultura, architettura e con una specifica tipologia sociale con proprietà comuni indivise assegnate a rotazione in comodato ai vari clan famigliari e governata dai membri anziani delle famiglie.
Nell’alta Lessinia si formarono XIII comuni ‘Cimbri’, con tipologia amministrativa-sociale rispettata e protetta anche in epoca veneziana dopo la ‘donazione’ della marca veronese alla Serenisima Veneta Republica avvenuta ad inizio del XV secolo.

al Corno d’Aquilio da contrada Tommasi – Fosse di Sant’Anna d’Alfaedo


Una bellissima escursione al pilastro nord orientale dei Lessini, il Corno d’Aquilio (o d’Aquiglio), m. 1545, per ammirare la grandiosa visione sulla val d’Adige e sul dirimpettaio monte Baldo.
Straordinariamente bello il piccolo, dolcissimo, altopiano di malga Fanta, dove si trova la celebre Spluga della Preta, una delle grotte più profonde al mondo con pozzi di centinaia di metri che raggiungono la profondità di quasi mille metri finora esplorati. Poco lontano dalla dolina, completamente recintata, della Spluga della Preta si trova la chiesetta degli speleologi e a qualche centinaio di metri si apre la Grotta del Ciabattino, facilmente visitabile da tutti.

Per salire alla cima del Corno d’Aquilio vi sono alcune possibilità, sia partendo da contrada Tommasi di Sant’Anna d’Alfaedo, come pure dal passo di Fittanze della Sega.

Per chi si avvicina per la prima volta a queste balze rocciose, a mio avviso conviene seguire integralmente la stradina sterrata che da Tommasi (m.1130) conduce al dosso di malga Pealda di Sopra (m.1470) (poco sotto la gobba del Cornetto, m.1543, con relativo brutto edificio in cemento armato del ripetitore).
Dalla selletta tralasciare le stradine per il passo Fittanze e proseguire diritti, in leggera salita, ad aggirare malga Pretta (m.1527) dalla quale si apre lo stupefacente scenario della Val d’Adige e del monte Baldo, mentre a sud degrada leggermente il fantastico altopiano di malga Fanta che arriva alle balze erbose del Corno d’Aquilio, che da qui si presenta come una dolcissima gobba erbosa.

E’ consigliabile la stradina perché molto più panoramica della mulattiera diretta e consente di capire geograficamente questi luoghi. Inoltre è impareggiabile il colpo d’occhio quando ci si affaccia all’altopiano. Fin qui un paio d’ore di passeggiata molto tranquilla e rilassante tutta su stradina sterrata.

A fianco della ex Casermetta della Finanza, ora stalla di malga Fanta allietata da una pozza d’acqua, si trova la Spluga della Preta e la chiesetta degli speleologi. Tutt’attorno un bucolico paesaggio popolato esclusivamente da mucche al pascolo.

Oltrepassati i recinti e la chiesetta si prosegue in direzione sud passando accanto alla grotta del Ciabattino, mirando alla croce della cima che si raggiunge in una ventina di minuti con salitella tra prati e balze erbose.

La cima è davvero stupefacente. All’improvviso, ai piedi della grande croce di ferro, si spalanca il baratro sulla val d’Adige e sull’altopiano e le contrade di Sant’Anna d’Alfaedo che da qui appare piatto e basso. Tutt’attorno lo sguardo spazia senza intralci su tutta la Lessinia, le Piccole Dolomiti, i contrafforti della Valle dell’Adige, il Baldo ed anche il lago di Garda.

Per la discesa si raggiunge la Spluga della Preta e la vicina malga da dove, nella valletta sottostante, un sentiero (all’inizio poco marcato e non molto evidente) scende ripido verso est nel bosco della val Liana e poi per la mulattiera più marcata, in direzione sud, sbocca nella strada sterrata non lontano da contrada Tommasi. La discesa si può compiere in meno di un’ora.

Un’altra discesa, ripidissima ed esposta e riservata solamente agli esperti, scende direttamente dalla cima in direzione sud-est.

Altra interessante escursione, decisamente più impegnativa per raggiungere il Corno d’Aquilio da contrada Tommasi, è il sentiero per il passo di Rocca Pia (m.1248)(postazioni della prima guerra mondiale e fantastiche vedute). Poi si continua in leggera discesa fino al bivio Via Nuova (m.1050) da dove si sale ripidamente la serpentina del sentiero dei contrabbandieri, lo Scalon o Scajon, che sbocca sull’altopiano nei pressi di malga Pretta da dove si prosegue come per l’itinerario precedente. Circa 2-3 ore con tratti impegnativi.

passeggiata malga Lessinia, monte Castelberto, Podestaria – Lessinia Monti Lessini – Montagna Veronese


Una passeggiata molto tranquilla lungo la ‘strada dei Cordoni’, a ridosso delle gobbe culminanti sulla strapiombante valle di Ronchi, si presta particolarmente alla pratica del nordic walking e del jogging.
Si può compiere sia partendo da malga Lessinia come dal rifugio Podestaria. Tra l’andata ed il ritorno, compresa la (quasi pianeggiante…) salitella a cima Castelberto, sono una quindicina di chilometri per un dislivello di 200 metri e si può compiere in quattro ore. Si segue la stradina ed anche il sentiero 250/14/1.

Malga Lessinia (m.1630), casera Pidocchio, bivio Castelberto (m.1700), cima Castelberto (1753) il punto nord più estremo dell’altopiano lessinico, malghe Costeggioli, rifugio Podestaria (m.1655).

Un modo di camminare dall’incedere lento, che sembrerebbe monontono, ma che invece permette, e costringe, di osservare con calma e cura il bucolico mondo del pascolo, dei campanacci e delle malghe. Soprattutto la natura, il sole, il vento, i nuvoloni, i fiori, i silenzi. E le rocce affioranti che raccontano di fade e sfingi abitanti le Città di Roccia, castelli di pietra che testimoniano milioni di anni di lavoro della natura.
E poi quelle gobbe erbose, praterie di fiori dipinte da una tavolozza di colori incredibile, che si rinnovano con lo scorrere del giorno e degli angoli di luce, con l’intrecciarsi delle nuvole, con l’avvicendarsi delle stagioni.

Una gioia incontenibile per l’occhio del fotografo allenato e smaliziato, un banco di prova e un campo scuola formidabile per il fotografo che inizia a dedicarsi alla fotografia paesaggistica.
Fotografare il paesaggio, nonostante comunemente si creda il contrario, è arte difficile, ricca soprattutto di delusioni.

Camposilvano – Parco Naturale Regionale della Lessinia


Un enorme pozzo del diametro di ben oltre un centinaio di metri e profondo almeno una sessantina, sul fondo si apre un ampio ‘covolo’ (=grotta) largo 70 metri per una altezza di 35 metri e una profondità di oltre 50 metri. L’aria, all’interno del covolo, è sempre freddissima e lo stillicidio quasi sempre si trasforma in ghiaccio. Sono le misure di questo spettacolare fenomeno della natura dovuto al crollo, anzi a crolli successivi, di una ampia grotta residuale di fenomeni carsici tipici del degrado degli strati di Calcare Rosso.

Il posto è davvero suggestivo. Un brevissimo sentierino a gradini porta, dal Museo dei Fossili di Camposilvano, al bordo di questo enorme cratere completamente invaso da una vegetazione lussureggiante. Se, anziché essere la tipica vegetazione delle macchie boschive pedemontane venete, si trattasse di vegetazione tropicale, la suggestione sarebbe quella di luoghi esotici lontani visti nei documentari, ma il Covolo di Camposilvano non è da meno.
Superato il ciglio, probabilmente in epoche passate persino difeso con muretti a secco (dei quali par di vedere qualche traccia), si scende nel centro dell’anfiteatro tra enormi massi di crollo fino ad un incredibile balcone panoramico (con più che opportuna panchina) dal quale si domina il profondo ingresso dell’enorme grotta. Scesi ancora di qualche metro, all’altezza della volta della grotta, la temperatura cambia repentinamente con uno sbalzo davvero incredibile, si ha subito la sensazione di entrare in un frigorifero, e così pure cambia la vegetazione ora formata solamente da piante erbacee pioniere fin sul bordo del volto dove anche la luce si riduce sensibilmente.

Il luogo è stato frequentato fin da tempi remotissimi, probabilmente ben prima dell’ultima glaciazione e cioè almeno 50 / 70 mila anni fa (… e, forse, ben più in là, come per altri siti quali il ben noto Ponte di Veja), anche dall’Uomo di Neandertal.
La frequentazione è stata pressoché ininterrotta anche in epoca romana e medioevale, nonché in epoche moderne. Lo testimoniano alcuni reperti custoditi nel Museo di Camposilvano, tra i quali ossa di animali residui di battute di caccia, pugnali e arnesi in selce, armi romane, punte di frecce di balestre.
Sicuramente il ‘Covolo’ è sempre stato sfruttato come una sorta di enorme ‘frigorifero’ e come pratica ed economica ghiacciaia.

La visita parte dal Museo dei Fossili di Camposilvano, interessante raccolta di sassi impressi da animali e vegetali, ed è a pagamento: il biglietto comprende la visita al museo e al Covolo.

Per altre informazioni:

http://www.magicoveneto.it/lessini/ParcoDeiLessini.htm

Lessini03

Oggi andiamo a… fare il giro delle Tre Cime di Lavaredo

Oggi cambiamo le nostre abitudini e vi consigliamo un itinerario molto famoso per chi ama la montagan: il giro delle Tre Cime di Lavaredo.

Carte turistiche 1:25.000
Tabacco: foglio 010 Dolomiti di Sesto.
Kompass: foglio 617 Cortina d’Ampezzo e Dolomiti Ampezzane.
Sentieri n° 101 e n° 105.

Denominazione dell’escursione: Giro delle Tre Cime di Lavaredo. (Rifugio Auronzo – Rifugio Lavaredo – Forcella Lavaredo – Rifugio A. Locatelli – Rifugio Auronzo).

Gruppo montagnoso: Tre Cime di Lavaredo.

Difficoltà: nessuna difficoltà di percorenza, itinerario consigliato anche agli escursionisti poco allenati.

Tempo medio complessivo di percorrenza: circa 3 (tre) ore.

Abbigliamento ed equipaggiamento consigliati: usuale per le normali escursioni in alta montagna (indispensabili gli scarponi da montagna, oltre a maglione, giacca a vento, calzettoni di lana, ecc.).

Punto di partenza: Rifugio Auronzo (Auronzo di Cadore).

Punto di arrivo: Rifugio Auronzo (Auronzo di Cadore).

Altitudine massima che si raggiunge durante l’escursione: m 2454, alla Forcella Lavaredo.

Interesse naturalistico dell’escursione: principalmente paesaggistico, geologico, geomorfologico, floristico e faunistico.

Rifugi e altre infrastrutture ricettive d’appoggio: Rifugio Auronzo a m 2320 di quota, punto di partenza e di arrivo dell’escursione; Rifugio Lavaredo a m 2344 di quota a circa 15 minuti dall’inizio dell’escursione; Rifugio A. Locatelli, a circa metà dell’escursione. I Rifugi sono aperti dal 15/6 al 30/9.

Accorgimenti consigliati: l’itinerario inizia al Rifugio Auronzo e seguendo sentieri sempre agevoli, gira intorno alle Tre Cime di Lavaredo, per ritornare nuovamente al Rifugio Auronzo. Si tratta di una delle gite di montagna più classiche, che non presenta alcuna difficoltà. N.B.: i numeri romani indicano il periodo di fioritura (es. VI-VII = periodo di fioritura giugno-luglio) e la lettera P le specie protette dalle leggi e dai regolamenti vigenti.

Iniziamo la gita

L’itinerario escursionistico inizia al Rifugio Auronzo, raggiungibile da Misurina in circa dieci minuti d’auto percorrendo la strada asfaltata a doppia corsia, con tariffa a pagamento, che consente anche il parcheggio alle Tre Cime di Lavaredo. L’intero percorso, che, girando intorno alla Tre Cime di Lavaredo consente di goderne l’immane bellezza da un elevato numero di punti di osservazione, si snoda interamente al di sopra del limite superiore del bosco, lungo ghiaioni attraversati da strade sterrate e comodi sentieri.

Dal Rifugio Auronzo, da dove si gode di un ampio panorama verso la Valle dell’Ansiei e Auronzo di Cadore, i Catini di Misurina (m 2839), il lago di Misurina e il Lago d’Antorno, il Sorapiss (m 3205) e il Monte Cristallino di Misurina (m 2775), si percorre la strada sterrata chiusa al traffico veicolare, che, con andamento pianeggiante, porta al Rifugio Lavaredo. Questo è il tratto della “passeggiata domenicale” ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, frequentata da un gran numero di turisti senza pretese escursionistiche. Dopo circa quindici minuti dalla partenza, si raggiunge una piccola chiesetta dedicata a Maria Ausiliatrice e, lì vicino, una stele ricorda Paul Grohmann, pioniere delle scalate sulle Dolomiti. Proseguendo, di fronte si vede la Croda dei Toni (m 3094) e, quando la strada gira verso sinistra, appare anche la Croda Passaporto (m 2701). In questo primo tratto la flora più rappresentata è costituita dal cardo alpino (Carduus carlinaefolius, VII-IX) dai fiori di colore viola intenso, la campanula soldanella (Campanula rotundifolia, VI-IX) dai fiori a campanula pendente di colore intensamente azzurro e il millefoglio del Clavena (Achillea clavenae, VII-VIII, P).

Raggiunto il Rifugio Lavaredo, per proseguire si possono scegliere due soluzioni: salire sulla sinistra lungo il sentiero che taglia diagonalmente i depositi detritici alla base della Torre Piccola di Lavaredo, o proseguire per la strada che segue un percorso un po’ più lungo, ma più agevole. L’itinerario descritto, segue questa seconda possibilità. Lasciato alle spalle il Rifugio, si sale verso la la Forcella Lavaredo, seguendo la strada, che, poco dopo, gira verso destra e in breve si raggiunge una biforcazione, dove si prosegue diritto. Salendo ulteriormente, sulla destra si vedono le pareti rosate della Dolomia Principale di cui è costituita la Croda Passaporto, ai cui piedi vi sono grandi accumuli recenti di detriti di falda. Di fronte, si veduno le pareti della Cima Piccola, anch’esse costituite da Dolomia Principale, dove, nelle giornate di bel tempo, è probabile che vi si possano ammirare i rocciatori impegnati nel superamento delle vie alpinistiche. Ancora un breve tratto in cui la strada passa tra alcuni grossi massi di crollo di antiche frane, si raggiunge la Forcella Lavaredo, che costituisce il punto più elevato dell’intera escursione.

La Forcella Lavaredo costituisce un importante punto d’osservazione su inimitabili paesaggi montani: sulla sinistra si ergono maestose le Tre Cime di Lavaredo, che da qui si possono ammirare da vicino e, di fronte, un gran numero di montagne che si aprono a corona, tra le quali , le più vicine sono il Monte Rudo (m 2826), la Croda dei Rondoi (m 2859), la Torre dei Scarperi (m 2687), il Monte Mattina (m 2464), la Torre Toblino (m 2617) e il Sasso di Sesto (m 2539) ai piedi del quale si distingue il Rifugio A. Locatelli, mentre sulla si erge il Monte Paterno (m 2619) e ancora la Croda Passaporto (m 2701).

Dalla Forcella si scende lungo la strada per breve tratto, poi, appena superata la sbarra metallica, si abbandona la strada sterrata per il sentiero di destra, che per breve tratto sale lungo il ghiaione, per poi proseguire con andamento pianeggiante o a brevi saliscendi. E’ questo il sentiero scelto per la descrizione dell’escursione, perchè più panoramico e più ricco di flore. Già in questo primo tratto, sul suolo calcareo dei depositi detritici, si possono ammirare fiori che crescono lungo l’intero tragitto che ancora si deve percorrere prima di raggiungere il Rifugio A. Locatelli e, infatti, osservando i fiori che vegetano vicino al sentiero, si può vedere, qui particolarmente numeroso, il papavero alpino (Papaver rhaeticum, VII-VIII, P) dai fiori bellisssimi e delicatissimi, con petali di colore giallo intenso o più o meno aranciato, l’erba storna (Thlaspi rotundifolia, VI-VII, P) una pianta prostrata dai numerosi fiori piccoli con petali roseo-violetti riuniti in racemi, la silene rigonfia (Silene vulgaris, VI-IX) dai numerosi fiori penduli con calice ovoidale e rigonfio venato di bruno e petali bianchi, il dente di leone montano (Leontodon montanus, VII-IX) dai fiori di colore giallo puro, lo spillone di dama (Armeria alpina, VI-VII, P) dai fiori di colore rosa intenso riuniti a capolino, la peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum, VII-IX, P) dai fiori di colore bianco candido, la silene delle fonti (Silene quadridentata, VII-IX) dai fiori bianchi a cinque petali ciascuno dei quali con quattro denti marginali e la silene a cuscinetto (Silene acaulis, VI-VII, P) che forma grandi cuscinetti di colore verde tenue, che nella stagione della fioritura si coprono di piccoli fiori di colore rosa. Lungo questo tratto, in alcuni punti si passa vicino alle rocce e si attraversano punti in cui lo scorrimento idrico ha inciso profondanmente il deposito detritico, ma il sentiero è sempre ben segnato e sicuro. Al termine di questo tratto, sulla sinistra si vede una caverna scavata nella roccia durante la prima guerra mondiale, che su queste cime ha visto i montanari fronteggiarsi cruentemente. Ancora una brevissima salita, superata la quale, appare, vicinissimo, il Rifugio A. Locatelli e, proprio qui, affiorano, per brevissimo tratto, gli Strati di Raibl, che conferiscono al suolo un caratteristico colore rossantro. Scostandosi leggermente dal Rifugio verso il crinale sulla destra, si vede l’Alpe dei Piani con i due Laghi dei Piani e più oltre, verso valle, la stretta Valle Sassovecchio che scende verso la Val Fiscalina e Sesto di Pusteria. Sulla sinistra della Valle Sassovecchio si erge il Crodon di San Candido (m 2891) e sulla destra la Cima Una (m 2698). Intorno vola numeroso il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) e più raramente, si vede il corvo imperiale (Corvus corax), il più grande corvide delle Dolomiti. Dietro il Rifugio, in posizione un po’ più elevata, c’è una piccola chiesetta che ricorda i caduti delle cruente battaglie combattute tra queste meravigliose montagne.

Dal Rifugio, che si trova a circa metà percorso, si prosegue scendendo per la stradina di destra rispetto a chi guarda le Tre Cime di Lavaredo. Il primo tratto è in leggera discesa, che si accentua oltre il primo bivio dove si prosegue verso sinistra, seguendo le indicazioni per il Rifugio Auronzo. Nel punto in cui la stradina riprende a salire, la si abbandona scendendo lungo il largo sentiero di destra e, raggiunta in breve un’altra biforcazione, si prosegue lungo il sentiero di sinistra, che in un susseguirsi di brevi saliscenti e ripide ma corte discese, raggiunge quelle che possono essere definite le “antisorgenti” del Fiume Rienza. Qui l’acqua scorre limpida e fresca tutto l’anno e vicino all’acqua cresce numerosa la rara sassifraga stellare (Saxifraga stellaris, VII-IX, P) dai fiori piccoli con petali bianchi macchiati di giallo e antere rosse. L’acqua della sorgente scorre per breve tratto, poi scompare nuovamente sottoterra, per ricomparire molto più a valle, dove vengono poste le vere sorgenti del Fiume Rienza (Rienza nera), afluente di sinistra del Fiume Drava, che riversa le acque delle Tre Cime di Lavaredo nel Danubio e quindi nel Mar Nero.

Proseguendo, dopo la sorgente si costeggia un pianoro e quindi si sale per buon tratto lungo il sentiero che, dapprima con pendenza pressoché costante e poi in continui leggeri saliscendi, attraversando in successione i depositi di diversi cordoni mirenici, si raggiunge il Col Forcellina.

In tutta questa zona la presenza faunistica è rappresentata dal camoscio (Rupicapra rupicapra), dalla marmotta (Marmota marmota) e dalla volpe rossa o volpe comune (Vulpes vulpes). Procedendo lungo ancora lungo il sentiero che continua con andamento a saliscendi, si attraversa un piccolo ruscello le cui acquae provengono da uno dei tre piccoli laghi che ci sono più a monte e, appena si riprende a salire, si raggiunge la Malga Longa, recentemente ristrutturata. Da qui si sale per breve tratto e, sulla sinistra, si vedono i tre laghetti delle Tre Cime, dalle acque verde-azzurro e freddissime, poi il sentiero riprende l’andamento a saliscendi. Il paesaggio che si attraversa, sempre al cospetto delle Tre Cime di Lavaredo, qui vicinissime e maestose, è sempre quello dei depositi morenici, con suoli all’inizio della loro genesi a soprassuolo erbaceo delle fitoassociaziono dei pascoli d’alta montagna e con l’insediamento rado e sparso del pino mugo (Pinus mugo). Le fioriture più appariscenti sono quelle della vedovina alpestre (Scabiosa lucida, VII-VIII) dai fiori rosso-purpurei o rosso-violetti, del rododendro nano (Rhodothamnus chamaecistus, VI-VII, P) dai numerosi fiori rosa e del rododendro irsuto (Rhododendron irsutum, VI-VII, P), la parnassia (Parnassia palustris, VII-IX) dai fiori bianchissimi, la conosciutissima genziana di Koch (Gentiana kochiana, VI-VII, P) dai grandi fiori di colore azzurro intenso o blu, la genzianella germanica (Gentianella germanica, VIII-IX, P) dai numerosi fiori azzurri-violetti e l’aconito napello (Acconitum napellus, VII-VIII, P) un apainta velenosa con una grande infiorescenza a pannocchia di dlolore blu intenso. Tutte queste fioriture sono visitate da numerose farfalle, tra le quali si possono notare la vanessa occhio di pavone (Inachis io) una bella farfalla dalle ali con quattro grandi ocelli intensamente colorati, la vanessa delle ortiche (Aglais urticae) forse la farfalla più comune in montagna, ma anche una delle più belle, l’erebia alpina (Erebia epiphron) dalle ali brune con piccoli ocelli neri con punto centrale bianco, diffusa in tutti i pascoli e i boschi montani, la zigenide comune (Zygaena filipendula) una piccola farfalla molto comune con corpo nero, ali anteriori nere con macchie rosse e ali posteriori rosse con un sottile bordo nero e il ben più raro Apollo delle Alpi (Parnassius phoebus) dalle ali bianche con macchie nere e ocelli rossi bordati di nero. Raggiunto il punto sommitale della salita, il sentiero prosegue lungo un tratto con aldamento da pianeggiante e leggermente in salita, tagliando trasversalmente un grande ghiaione costituito da depositi detritici di falda. In questo tratto cresce numeroso il ranuncolo ibrido (Ranunculus hybridus, VI-VII, P) dai fiori gialli, endemico delle Alpi orientalie e molto diffuso nel primo tratto del ghiaione e spesso si vede il fringuello alpino (Montifringilla nivalis) dalle ali con una evidente porzione completamente bianca. Alla fine dell’attraversamento del grande ghiaione, si raggiunge la Forcella di Mezzo, dove il sentiero si divide e dove l’itinerario desritto segue quello di sinitra. Da qui si affronta l’ultimo breve tratto dell’escursione, dove il sentiero ha un andamento a continuo leggero saliscendi e si attraversa anche un punto in cui la roccia affiorante è costantemente bagnata e scivolosa, e dove, a maggior sicurezza dell’escursionista, è stata posta una breve catena alla quale ci si può sostenere.

Dopo circa tre ore di cammino, si vede il Rifugio Auronzo ormai vicino e i grandi parcheggi, solitamente pieni di autovetture. L’escursione termina qui, al Rifugio Auronzo, dove si può riprendere l’autovettura, per il ritorno a valle.

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Oggi andiamo a… visitare Villa Cicogni Mozzoni a Bisuschio

VILLA CICOGNA MOZZONI UN GIOIELLO RINASCIMENTALE
Villa Cicogna Mozzoni di Bisuschio, in provincia di Varese, è un complesso architettonico progettato ed edificato durante il  rinascimento, il primo corpo di fabbrica che aveva funzione di Casino di caccia fu edificato prima del 1440, il secondo (collegato con il primo) fu eretto dopo il 1530, diventando così una vera e propria villa di delizie, circondata da giardini su più livelli.

Nel casino di caccia, la famiglia Mozzoni soleva ricevere ospiti dell’alta società milanese che si confrontavano nell’antica arte della caccia, infatti in quel tempo la Valceresio era una meta privilegiata per la caccia all’orso bruno e al cinghiale. Nel 1581 Angela, l’ultima erede dei Mozzoni, va in sposa a Gian Pietro Cicogna il quale in cambio della dote accetta di unire i  due cognomi. Il nuovo ceppo familiare continuò ad usare la Villa come luogo di svago e di delizie dove poter ospitare amici e parenti, andare a caccia e a pesca e godere delle meraviglie della natura così meravigliosamente “sintetizzate” nei giardini. Ancora oggi i discendenti della famiglia Cicogna Mozzoni si prendono cura di questa dimora. Dal 1957 sono visitabili il  giardino e le 12 sale interamente affrescate e arredate con mobili e oggetti di varie epoche. Oggi la Villa è anche sede di concerti, mostre, eventi culturali, è possibile affittare le sue sale per ricevimenti di nozze, cene di gala, set per film e foto. La villa e il suo archivio storico sono posti sotto tutela con Legge: 364/1909; 1089/1939. Dichiarata di interesse storico artistico con notifica del 19/5/1912, notifica del 6/7/1931, e notifica del 4/11/1941.

LA STORIA

Nel 1440, seguendo la moda del tempo, i nobili Mozzoni fecero costruire un casino di caccia a Bisuschio, vicino a Varese. Qui si svolgevano appassionanti battute di caccia all’orso bruno che allora infestava i monti circostanti. Una di queste battute rimase memorabile: un ospite d’eccezione, Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano si trovò da solo a fronteggiare un orso ferito e inferocito. L’intervento coraggioso di Agostino Mozzoni e del suo cane lo salvò da una morte certa. Questo atto fu premiato con favori ed esenzioni da alcune tasse per cui il potere e l’autorità della famiglia aumentarono.


Ascanio Mozzoni Giureconsulto Collegiato dal 1558 al 1592

Circa un secolo più tardi (1559) il casino di caccia fu abbellito e completato con affreschi dei F.lli Campi di Cremona e della loro scuola, per diventare una vera e propria villa di delizie. Il giardino fu voluto nel 1560 da Ascanio Mozzoni, uomo di grande cultura che riportò dai suoi viaggi a Firenze e a Roma spunti per la sistemazione del suo giardino a sette livelli. Nel 1580 la sua unica figlia andò sposa a Giovan Pietro Cicogna dalla cui discendenza si arriva agli attuali proprietari che ne curano personalmente la gestione.
La villa è a forma di U e i suoi lati lunghi si aprono su di un perfetto giardino all’italiana chiuso sul fondo da un muro di pietra spugnosa, scavato da nicchie e fiancheggiato da due peschiere, probabile ricordo delle grotte della fiorentina Villa di Castello. Il muro arriva all’altezza del primo piano della casa così che il giardino si trova ad essere inglobato nella villa, come una grandiosa sala a cielo aperto, arredata di statue, di prati e fontane. Al pianterreno, due serie ininterrotte di arcate realizzano una perfetta continuità tra lo spazio esterno e quello interno portando la luce dal giardino nei saloni. Oltre al muro che chiude il giardino rinascimentale, la collina sale seguendo la linea prospettica di una delle più celebri scalinate d’acqua del Cinquecento: una doppia fila di cipressi accompagna fino ad un loggione lo sguardo, che da lì ridiscende seguendo due rampe di gradinate tra le quali scorre un ruscello che porta le acque a fermarsi in una fontana decorata con un mascherone, posta all’altezza delle finestre della gran sala del piano nobile. La villa è inoltre circondata da ampie terrazze con grandi giardini all’italiana. Più oltre, una volta saliti al belvedere, ha inizio il parco romantico.


Giardino all’italiana (Foto Vincent Berg)

Questo giardino deve molto alla grande architettura rinascimentale romana ma la grandezza e l’imponenza delle vedute è qui riassorbita in un gioco dinamico che al fasto sostituisce l’eleganza, mentre la grandiosa ampiezza si muta in serena misura.
Oggi è possibile fare una visita guidata nei 12 ambienti interni completamente affrescati (1540-1550) e arredati con mobili, quadri e oggetti di varie epoche.
Villa Cicogna Mozzoni è legata alla storia delle famiglie Mozzoni e Cicogna che si sono unite nel 1581 con il matrimonio fra Gian Pietro Cicogna e Angela Mozzoni generando così una nuova famiglia i Cicogna Mozzoni.
In questa sezione troverete un articolo apparso su “il Calandari dra famiglia Bosina par ur 2003”, Varese 2002 pp. 44-70, 71-82 a cura di Giampiero Buzzi e Leonida Besozzi, che spiega nel dettaglio le origini e le vicissitudini di queste due famiglie.

LA VILLA

Cortile d’Onore


Pianta dell’edificio e del giardino formale

La Villa, come appare da un attento esame della planimetria, rivela due fasi di costruzione. Furono utilizzati in parte muri preesistenti (la facciata non è simmetrica rispetto all’edificio, i due porticati hanno diverse profondità, ecc.), ma i caratteri stilistici del fabbricato e della decorazione sono unitari, sicché si può presumere che le opere murarie e le pitture della fronte, dei cortili, dei portici, della scala e di parte degli interni, abbiano avuto luogo tutte fra il 1530 e il 1570. Gli affreschi non possono essere anteriori al 1560, giacchè nel cortile appare lo stemma di Giovan Angelo Medici di Marignano eletto Papa nel 1559 col nome di Pio IV.


Stemma Mozzoni

Il gran portale d’arco, di pietra bugnata che ricorda quello del palazzo Cicogna di Milano, porta lo scudo marmoreo con i tre aquilotti dei Mozzoni, mentre nell’interno appaiono molti stemmi dei Cicogna e qualche scudo composto con le due insegne: in alto la Cicogna, in basso le Aquile. Il cortile ha tre soli lati; in luogo del quarto si apre la visione deliziosa del “giardino di casa”. Le pareti del cortile ed i porticati sono decorati con una vivace serie di pitture; nei riquadri tra le finestre dei primi due lati appaiono figure maschili e femminili e sotto ciascuna, nella fascia, un’insegna araldica che forse ne permetterà l’identificazione. Le grandi figure ed i medaglioni, che con l’andare degli anni il tempo inesorabilmente cancella, rappresentano con molta probabilità gli allora proprietari di casa e gli Sforza, Duchi di Milano, che molto spesso venivano a Bisuschio a caccia. Sotto i portici sono rappresentate cacce a cavallo, scene agresti e di pesca: è un interessante documento iconografico della vita che si svolgeva nel parco, nel bosco, nei poderi dei Mozzoni. Questo complesso di affreschi è comunemente assegnato ai fratelli Campi di Cremona e alla loro scuola. Si tratta di una produzione decorativa di buon livello e di stile inconfondibile, ispirata al più puro gusto rinascimentale. Sono affreschi che solo intorno al 1800 vennero riportati alla luce, dato che, al tempo della peste (XVII sec.) erano stati ricoperti da uno strato di calce, per ragioni igieniche. Si possono notare a sinistra delle tracce di martellate per far saltare l’intonaco, e questo lavoro venne subito fermato non appena ci si accorse che sotto esisteva un affresco. L’allegria che doveva regnare in questa casa è simboleggiata dalla fascia che separa il pianterreno dal primo piano; è tutta una ridda festosa, un movimentato gioco di putti che tengono cani per la caccia, corrono sui carri, si avvincono, reggono targhe stemmarie. Nel terzo lato campeggiano divinità pagane: Giove tonante, Diana cacciatrice, ecc.; in tre specchiature ovali della fascia sono raffigurate Aretusa presso la fonte ed altre ninfe silvestri. Negli archetti presso il cornicione di gronda stanno cartigli con motti e sentenze morali, che il tempo ha sbiadito.

Lo Scalone d’Onore


Scalone d’Onore (Foto Vincent Berg)

Si accede poi allo scalone, dalle pareti e dalle volte dipinte. A mezza scala due busti in marmo di Augusto e Francesco Mozzoni. Nella parte superiore dello scalone, sopra la balaustra disegnata sulle pareti, sono raffigurate le vedute panoramiche delle terre circostanti. Naturalmente gli artisti hanno idealizzato queste visioni, ma si può riconoscere la collina sopra Besano, ed il castello, attualmente diroccato, di Cuasso al Monte. Intervallati dagli affreschi, vi sono originali ghirlande di frutta, fiori e foglie che simboleggiano i prodotti delle terre circostanti. La fantasia degli artisti ha creato, sul bellissimo soffitto, degli arabeschi che incorniciano delle piccole vedute e delle scene idilliache. Gli stemmi dello scalone e del cortile sono quelli delle mogli dei primogeniti della famiglia Mozzoni (Visconti di Pogliano, Bossi, Arcimboldi, e Mozzoni).

La Biblioteca
In un primo tempo questa sala serviva per i trattenimenti. Si faceva della musica, i giullari intrattenevano i loro ospiti ed i proprietari cantando, recitando poesie, suonando e ballando. Infatti sul festone che corre lungo tutte le pareti, sono rappresentati degli amorini che sostengono le parole: “Ad dulces parnasi numina cantus venimus”. Inoltre si vedono le nove Muse, figlie di Giove e Mnemosine: Calliope Musa dell’elegia, Clio musa del canto epico, Erato musa della poesia amorosa, Talia musa della commedia, Melpomene musa della tragedia, Tersicore musa della lirica corale, Euterpe musa della lirica monodica e del flauto, Polimnia musa della danza e del canto sacro, Urania musa dell’epica astronomica e didascalica. Inoltre è raffigurato Apollo (Dioniso Musagete) che nella mitologia guida il coro delle muse, che insieme a lui danzano e cantano, specialmente durante le feste e i banchetti degli dei dell’Olimpo.


Biblioteca (Foto Vincent Berg)

Nella parte superiore del camino, grande affresco raffigurante Vulcano e Venere. In un secondo tempo questa sala venne adibita a cappella. A metà circa della biblioteca attuale, si aprivano due porte e all’interno era situato l’altare dove il cappellano di famiglia celebrava la S. Messa. L’affresco del camino veniva allora ricoperto con un drappo. In seguito il permesso di dire la Messa venne tolto appunto perché nella sala vi erano troppe nudità, ed essendo quindi scomparsa la ragione di tenere vuota una così grande stanza, si pensò di adibirla a biblioteca, per collocare le varie migliaia di volumi (5000) che le precedenti generazioni e gli attuali proprietari avevano raccolto. Di particolare interesse è l’enorme camino, il grande tavolo da sarto del 1670, un baule di legno del XIV secolo, ricoperto di metallo e velluto, un lampadario del ‘500 veneziano, ed il soffitto in legno.

Prima Stanza
Al centro una fortepiano costruito da Anton Walter a Vienna nel 1798.
Sulle porte laccate in rosso è raffigurata in oro la Cicogna, emblema degli attuali proprietari.


Sala detta del Fortepiano

Magnifico soffitto a cassettoni dell’epoca con borchie in oro zecchino mai toccate ne restaurate finora. Sulle pareti di questa stanza e delle due che seguono sono affrescati dei panneggi di damasco. La pignoleria degli artisti è arrivata sino al punto di disegnare i chiodi che sostengono le stoffe.

Seconda Stanza


Letto a baldacchino del XVIII secolo (Foto Vincent Berg)

Bellissimo letto matrimoniale con baldacchino a volta settecentesco detto della “Cittrona”. La seta della coperta della parete esterna del letto e del baldacchino è ricamata a piccolo punto. Di grandissimo valore il mobilio di noce scolpito tardo barocco. Di fianco al letto statua raffigurante una donna col bambino. Festone affrescato con animali e bellissimo soffitto in legno, con borchie dorate.

Terza Stanza
Anche alle pareti di questa stanza panneggi di damasco affrescati. Nell’angolo affresco del 1534 riportato su tela, rappresentante la Madonna col bambino e San Rocco patrono degli appestati, che mostra la sua piaga all inguine, attribuito alla scuola del Borgognone.


Affresco raffigurante San Rocco e la Vergine Maria

Sulla scrivania, trasformabile in tavolo, due candelieri in bronzo dorato. Poltrona doppia del ‘600 e poltrone ricoperte di cuoio bicolore. Alle pareti cassapanca austriaca del 800. Il pavimento di questa stanza, in cotto, gode della particolarità di essere stato colorato con sangue di bue.

Quartiere delle Donne


Affreschi esterni (Foto Vincent Berg)

Dall’esterno del fabbricato è possibile vedere sei finestre, tre delle quali finte su cui sono state dipinte alcune donne intente ad osservare quello che accadeva nel cortile.


Soffitto e fregio

Nella prima sala l’affresco vicino al soffitto raffigura fauni, nani, le tre dee della bellezza, amorini su una biga trainata da leoni. Soffitto a quadri disegnati. Da notare le panchine in pietra sotto le finestre.

Seconda Sala
In alto raffigurazioni fantastiche di donne, animali, draghi e amorini.

Soffitto e fregio

Bellissimo soffitto a scatola ed armadio dell’epoca incastrato nel vano di una finestra. Dall’iscrizione sul cassetto posto sotto l’armadio, si può dedurre che questa era la stanza di Cecilia Mozzoni da nubile.


Armadio di Cecilia Mozzoni (vissuta tra il 1538 e il 1613)

Terza Sala
Letto a colonne in oro zecchino e sedie del ‘600 ricoperte di stoffa. Alle pareti affreschi di legumi.

Stanza Verde
Grande armadio in noce e comodino intagliato, letto a colonne del ‘600. Da questa stanza si ha la vista sul giardino segreto e terrazzato a nord.


Giardino terrazzato a nord (Foto Vincent Berg)

Stanza Rossa
Grande letto con baldacchino a volta panoramica ricoperto di seta. Alle pareti due magnifiche specchiere dorate del ‘700 francese. Bellissimo trumeau olandese del 1600. Da notare il soffitto e le panche in pietra a fianco di ogni finestra. su una delle lesene affrescate vi è la data del 1559, che segna l’epoca in cui vennero realizzati gli affreschi.

Altra Stanza
Letto a colonne con fregi in oro zecchino e originale doppia scrivania in legno di rosa, le sedie di cuoio sono del ‘600.

Grande salone da ricevimento
E’ la sala più importante della villa, il soffitto è a cassettoni, molto elaborato. Grandissimo camino in pietra di Viggiù riccamente scolpito con riquadri raffiguranti armamenti ed attrezzi. Alle pareti cinque quadri raffiguranti antenati dei Cicogna Mozzoni. La donna è Angela Mozzoni, unica figlia dei Conti Mozzoni. Sposò Gian Piero Cicogna nel 1580, portando come dote tutti i beni dei Mozzoni, compresa la casa di Bisuschio.


Salone d’Onore in una foto della fine dell’800

Da notare un armadio in legno finemente scolpito del primo ‘600. Ai lati una serie di sedie tutte rivestite con tessuto ricamato a piccolo punto e quattro consolles in legno scolpito del ‘700. Sulla cassapanca del’ 600, in fondo, vi è una statua del cane che in occasione di una battuta di caccia, salvò la vita di un Duca di Milano. Infatti durante una battuta all’orso, un magnifico esemplare venne scovato da una muta di cani e venne assalito. Questi si difese e mise fuori combattimento quasi tutti i cani. Al gran rumore accorsero tutti i cacciatori, fra i primi il Duca di Milano che si trovò improvvisamente di fronte all’orso inferocito. Il cane, che era già stato ferito, raccolse le sue ultime energie e con un balzo azzannò l’orso alla gola. Questo fu sufficiente per distogliere l’attenzione dell’orso dal Duca che ormai stava per essere azzannato a permettere ad Agostino Mozzoni di abbatterlo.
Nelle cronache del Simonetta si legge che l’orso pesava ben 250 libbre e che “guastò tre homeni e amazò un cane”. La fiera finì impagliata su un rovellino del castello Sforzesco di Milano, accanto ad un cervo imbalsamato. Uno degli uomini “guastati” fu per certo Agostino Mozzoni, il quale doveva aver seguito la caccia che si svolgeva, affrontando la fiera scovata dai cani con lancia e spada. Infatti nel diploma concessogli il 4 Novembre 1476, cioè nello stesso anno in cui avvenne l’episodio sopra descritto, si ha notizia dell’incidente capitato al Mozzoni, dal Duca che lo esentava dal pagamento di certe imposte, sia per l’ospitalità sia per la devozione. “Intus ursorum venationibus, quas nuper in vicariatu nostro Varisij fecimus ita se prontium in imnibus praebuit……….. Augustinus de Mozzonibus de loco Besustij…….ut aliqua ex parte satisfaciamus vulnere quod ad urso in ipsis venationibus illatum…..ecc.”
Il mastino morì per le numerose ferite ed i Mozzoni, in riconoscenza, fecero fare questa riproduzione in terracotta e diedero sepoltura alla bestia in giardino, erigendo anche un piccolo monumento che tuttora si può ammirare.

IL GIARDINO

Non vi è in Lombardia una residenza di campagna che più di Villa Cicogna Mozzoni possa riflettere e magnificare il genio rinascimentale di un architettura fatta di spazi interni ed esterni che tra di loro si compenetrano e si fondono in un insieme dal disegno chiaro, nitido e arioso.


Disegno di parterre del giardino formale

Il giardino non riceve dalla villa il suo ordinamento, come prescrivevano i canoni albertiani, ma è l’edificio che sembra aprirsi in modo da accogliere le luci e le magnifiche prospettive dell’esterno in un perfetto gioco di equilibri. Questo risultato non è dovuto ad un progetto unitario e non si conoscono gli architetti che qui operarono ma solo le tappe fondamentali dei lavori che si succedettero negli anni.
Nel XV° secolo sorgeva a Bisuschio, su un poggio dinanzi al maestoso gruppo prealpino di Viggiù, vicino al lago di Lugano, una casa di caccia della famiglia Mozzoni. Nel 1476, come riportano le cronache del tempo, Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, ospite dei Mozzoni per una battuta di caccia, venne travolto da un orso e fu coraggiosamente salvato da Agostino Mozzoni e dai suoi cani. Da quel momento le sorti della famiglia conobbero nuova e ricca fortuna. La casa di Bisuschio fu trasformata e grandemente ampliata da Ascanio Mozzoni tra il 1530 e il 1559. Questi non aveva che una figlia, Angela, che nel 1580 andò in sposa a Giovan Pietro Cicogna e i cui figli furono i conti Cicogna Mozzoni che sono, in una secolare continuità storica, gli antenati degli attuali proprietari.


Terrazza a nord

I giardini, la cui sistemazione è rimasta invariata nella parte centrale, sono stati sistemati verso il 1560 da Ascanio Mozzoni, uomo di cultura che nei suoi viaggi a Firenze e a Roma fu certamente attento a quanto si andava costruendo nelle ville medicee e pontificie.


Terrazza a nord

La villa è a forma a U e le due braccia si aprono su di un perfetto giardino all’italiana chiuso nel fondo da un muro di pietra spugnosa, probabile ricordo delle fiorentine grotte di Castello, scavato da nicchie e fiancheggiato da due peschiere.


Statua in una nicchia del muro di tufo (Tufo spugnoso proveniente da Cima di Porlezza)

Il muro è alto quanto il piano terra della casa, così che il giardino si trova ad essere inglobato nella villa, quale una grande sala a cielo aperto arredata di statue, di prati e di fontane. Il pianterreno delle due braccia è costituito da un ininterrotta serie di arcate che realizzano una perfetta continuità tra lo spazio esterno e quello interno portando la luce del giardino nei saloni.


Portico (Foto di Robert E. Bright)

Il loggiato, inoltre, è interamente affrescato con motivi floreali, ghirlande di fiori e tralci di vigna. le pitture sono opera dei Cremonesi fratelli Campi della loro bottega, non anteriori al 1560 come nota il Bascapè e assolvono ad una funzione prettamente architettonica di transizione mutando lo spazio del loggiato in uno spazio naturale che appartiene come volume all’edificio ma come decorazione e colore al giardino che viene così immesso nella casa. E’ uno squisito capolavoro rinascimentale che si ritrova a Roma nella villa di Papa Giulio II, e negli affreschi di Giovanni da Udine nella Farnesina: l’arte del giardino confluisce nell’architettura tramite la pittura, senza cesura, ma nella più stretta armonia delle arti.


Scalinata di 156 gradini (Foto di Vincent Berg)

Oltre al muro che chiude il giardino rinascimentale, la collina sale seguendo la linea prospettica di una delle più celebri scalinate d’acqua del Cinquecento: una doppia fila di cipressi accompagna fino ad un loggione lo sguardo, che da lì ridiscende seguendo due rampe di gradinate tra le quali scorre un ruscello che porta le acque a fermarsi in una fontana decorata con un mascherone, posta all’altezza delle finestre della gran sala del piano nobile. La villa è inoltre circondata da ampie terrazze con grandi giardini all’italiana. Più oltre inizia il parco romantico. Questo giardino deve molto alla grande architettura rinascimentale romana, ma la grandezza e l’imponenza delle prospettive e delle vedute è qui riassorbita in un gioco dinamico che al fasto sostituisce l’eleganza, mentre la grandiosa ampiezza si muta in serena misura. (Testo tratto dal libro “Giardini italiani” di Marella Agnelli – Fabbri Editori 1987)

Oggi andiamo a… Ventimiglia

Posta alla foce del fiume Roia, al centro dell’area compresa fra Sanremo e il Principato di Monaco, Ventimiglia è l’ultima città italiana prima della Francia, a soli 8 km di distanza dal confine ed ha alle sue spalle anche un entroterra ricco di storia, di arte e di bellezze naturali.

Il fiume Roia taglia in due la città, offrendo due realtà totalmente diverse. Una parte è ricca di edifici medievali, allineati sulla cima di un colle mentre l’altra ospita edifici moderni.

La città alta è ricca di storia e si possono visitare tanti monumenti e musei oltre che godere di una vista panoramica mozzafiato.

Cenni storici su Ventimiglia

Il nome Ventimiglia deriva forse dalla parola ligure albom “città capoluogo” e dal genitivo plurale del nome etnico Intemelion, quindi il suo nome significa “città capoluogo dei Liguri Intemeli”.

E’ una località con una lunga storia.

Presenta tracce di preistoria, che si possono oggi vedere ai Balzi Rossi, è ricca di resti romani, conservati nella zona archeologica nervina e vanta di una bellissimo centro storico medievale, uno fra i più importanti della Liguria.

Già capitale dei liguri Intemeli, poi Municipium romano e agli albori del cristianesimo, capoluogo di una delle più antiche diocesi, fu in seguito sede dei Conti di Ventimiglia e poi Magnifica Comunità durante il lungo dominio della Repubblica di Genova.

Ventimiglia seguirà poi le sorti di Genova, subendo la dominazione austriaca del 1747 e l’invasione francese di Napoleone Bonaparte nel 1797.

Ancora storia

La Repubblica Ligure, istituita nel 1805 dallo stesso Napoleone dopo la caduta dell’antica repubblica genovese ed inglobata nei territori del Primo Impero francese, entrò quindi a far parte del Regno di Sardegna e Ventimiglia fu sottoposta al Contado di Nizza.

Con l’ Unità d’Italia entrerà dal 1861 nei nuovi confini del neo costituito Regno d’Italia di cui seguirà le vicende.

Nel 1945, sul finire della seconda guerra mondiale, fu occupata dalla Francia, ma poi passò nuovamente sotto controllo dell’ Italia.

Cosa vedere a Ventimiglia

Il nucleo storico di Ventimiglia si dispone sulla collina del Cavo alla destra della pianura del Roia che la lambisce dal sec. XIII, quando i genovesi deviarono il suo corso per interrare il porto e conquistare definitivamente la città.

Per visitare la città alta (o città vecchia) si consiglia di partire dalla Passeggiata Colla, un belvedere con pini marittimi realizzato nel secolo scorso.

Si oltrepassa la Porta Nuova e si arriva in Piazza della Cattedrale occupata dal vasto complesso monastico delle Canonichesse, sorto sull’area dell’antico castello dei conti (sec. XI).

La Cattedrale dell’Assunta risale al XII secolo e fu eretta sui resti di un antico tempio pagano. Al suo interno si possono vedere pregevoli opere d’arte

La piazza è il centro monumentale della città alta.

Oltre alla Cattedrale e al Convento, sono da vedere anche il Palazzo Episcopale e l’ex Municipio.

Altre cose da vedere a Ventimiglia

Il Forte Annunziata venne eretto nel 1831 sul sito già occupato dal convento omonimo dei Minori Osservanti di San Francesco risalente al 1503.
Il forte ospita oggi il Civico Museo Archeologico “G. ROSSI”.

Si possono vedere reperti provenienti dagli scavi di Album Itimilium, oggetti di vetro, lapidi incise risalenti al I – VII secolo d.C. e teste marmoree di età imperiale.

Cosa fare a Ventimiglia

A Ventimiglia si può fare una visita ai Balzi Rossi. Sono suggestive rocce a picco sul mare facilmente raggiungibili dalle strade litoranee. In questo punto si possono fare bellissime fotografie.
Al loro interno si aprono grotte e caverne di epoca preistorica.

Le più importanti e suggestive sono: la barma grande, la grotta del principe e la grotta dei fanciulli.
Al suo interno si può visitare anche il Museo dei “BALZI ROSSI”che raccoglie e custodisce i reperti archeologici ritrovati nelle grotte.

Per chi ama la natura e la botanica si consiglia una visita ai Giardini Botanici Hanbury, dove si possono ammirare e fotografare piante esotiche provenienti dalle più lontane regioni del mondo.

Nei dintorni di Ventimiglia

I dintorni della città sono facilmente raggiungibili percorrendo le pittoresche strade delle valli Roia, Nervia e Crosia, lungo le quali s’incontrano centri interessanti da vedere come Airole, Camporosso, Dolceacqua e Perinaldo.

Essendo la Francia molto vicina si possono facilmente fare delle escursioni oltre confine, visitando la vicina Menton, Montecarlo.

Le più belle spiagge di Ventimiglia

La Spiaggia di Balzi Rossi, a qualche chilometro dal centro di Ventimiglia, si trova vicino al confine con la Francia.

E’ una bellissima spiaggia di sassi piatti all’interno di un selvaggio angolo costiero tra gli scogli e ai piedi di una falesia rocciosa a picco sul mare, ricca in diversi punti di caverne preistoriche.

Per chi ama le spiagge di sabbia, si consiglia la Spiaggia delle Calandre, a circa 2 chilometri dal centro di Ventimiglia.

Feste e sagre a Ventimiglia

La Battaglia dei Fiori vede coinvolte compagnie diverse a confrontarsi su un tema libero presentando carri fioriti a mosaico che sfilano lungo un percorso accompagnati da bande musicali e gruppi folcloristici, mentre i figuranti battagliano lanciando fiori agli spettatori.
Si svolge a Giugno.

L’ Agosto Medievale è un insieme di momenti che si incentrano sul Corteo Storico rievocativo basato su un tema diverso di anno in anno, con le esibizioni di tamburini e sbandieratori che si cimentano in una competizione di abilità denominata Asteludo.

Durante l’estate a Ventimiglia si svolgono anche varie feste rievocative in costume lungo le vie e nelle piazze della Città Antica, il Ludum Balistre torneo di tiro con la balestra antica, la Regata di San Secondo, la sagra delle castagnole.

Per gli amanti della buona cucina c’è anche la Fiera di San Secondo, che si svolge alla fine di agosto e ha origini medievali.

Cucina tradizionale e prodotti tipici di Ventimiglia

La cucina tipica di Ventimiglia e del suo territorio si basa su piatti e ricette semplici ma sostanziosi, preparati con ingredienti genuini.

Tra i primi ci sono i classici ravioli fatti a mano au pesügu e conditi con burro e salvia, la sfoglia, tirata in lunghe e sottili strisce, viene colmata con bietoline o boraggine, uova, formaggio grana grattugiato, maggiorana e sigillata, ai bordi, mediante una leggera pressione delle dita.

Altra ricetta tradizionale della cucina della zona è la sardenaira o pizza all’Andrea, pissalandréa.
Il nome risale all’ammiraglio Andrea Doria, nativo di Oneglia e celebre per le sue gesta sui mari del mondo medievale.

Fra i secondi piatti la cucina prevede il gustoso coniglio alla ligure, stufato con verdure ed olive e ricette a base di carne di cinghiale.

ventimiglia

Itinerari enogastronomici in Piemonte

Il Piemonte, una terra che offre molte possibilità d’intrattenimento, tra risorse naturali e paesaggistiche. Questa regione occupa un posto di rilievo nell’ambito del patrimonio artistico-culturale dei beni italiani: dal romanico al gotico, dal neoclassico al barocco. Una sinfonia di stili che accompagnano i turisti non solo in magnifiche visite ma, anche in sorprendenti itinerari enogastronomici. L’offerta turistica relativa infatti al settore agroalimentare del Piemonte è molto interessante poiché sono molto diffusi gli agriturismi e le strutture che propongono specialità casalinghe della tradizione piemontese. La scelta è ampia: vini, formaggi, frutta secca, verdure, birra e carni.Vediamo dunque quali sono gli itinerari migliori da seguire se passate per questa splendida terra!

Ovviamente se venite a visitare ed assaporare il Piemonte non potrete evitare di fermarvi nel capoluogo, Torino, la città offre molte opportunità: visite turistiche, locali alla moda e vecchie trattorie dove gustare i tradizionali sapori piemontesi. Ma, per godere del miglior impatto enogastronomico del Piemonte, bisogna uscire dalle porte della città di Torino e dirigerci verso Ivrea. E’ in questa città infatti che ritroviamo lo Storico Carnevale, che pone le sue radici storiche nel lontano 1808, una festa che ha le sue origini nelle antiche feste rionali. Il Carnevale di Ivrea è caratterizzato da un complesso cerimoniale folcloristico impregnato di evocazioni storico-leggendarie. Questa manifestazione è aperta a tutti ma, siete avvisati…soltanto i più forti e temerari resisteranno sotto il “bombardamento” di arance! Oltre questo particolare evento è proprio ad Ivrea che si possono assaggiare piatti come La Torta Novecento, che fu inventata alla fine dell’Ottocento da Ottavio Bertinotti, per celebrare l’arrivo del nuovo secolo. Oggi la ricetta segreta del maestro si può ritrovare prodotta nella Pasticceria Balla che ne vanta la bontà. Rimanendo in tema di dolciumi, sempre ad Ivrea ritroviamo gli eporediesi, dei biscotti dalle origini ignote, di cui esistono diverse varianti, dalla forma larga e dall’aspetto screpolato: l’esterno è croccante e il cuore è tenero. Gli ingredienti sono il cacao, le nocciole e le mandorle. Ricordiamo che il Piemonte, in primis Alba è il capoluogo della nocciola I.G.P.. E’ proprio qui, in queste terre che si trovano le più gustose nocciole presentate alla Fiera della Nocciola – Prodotti Tipici di Alta Langa. Questa varietà di nocciola coltivata prettamente in Piemonte è la Tonda Gentile Trilobata, delle coltivazioni appunto di Alba, Cuneo, Asti e Alessandria, tra le colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato possiamo ritrovare questo delizioso frutto, molto versatile, il quale – nella stessa Fiera – presentato ai turisti, viene usato come elemento in vari tipi di preparazione, dalle torte ai torroni, dal tè agli aperitivi. Altro ingrediente molto conosciuto ed utilizzato in Piemonte è il Mais, dal quale viene ricavato il tipico dolce paste ‘d melia, ovvero paste di meliga, biscotto delizioso dall’aspetto color biondo, come il mais da cui deriva, friabile e croccante, ne esistono di varie fatture ma i più buoni sono quelli a pasta spessa. Nelle Fiere e nelle Manifestazioni è possibile trovarlo comunemente sulle bancarelle, ma il suo marchio di provenienza è il Cuneese e la Val di Susa.

Altro importante evento che ci fà seguire un nuovo itinerario è il Festival delle Sagre, che prese vita nel 1974 sulle ali della pura improvvisazione, la caratteristica principale era ed è l’aspetto gastronomico della Sagra e la conseguente festa di paese che sollecitò la fantasia degli organizzatori ponendosi un obiettivo: riuscire a riunire le più genuine specialità della cucina campagnola e proporle ai cittadini in modo che riscoprissero attraverso quei sapori il folklore dimenticato.Una manifestazione nazionale che si tiene ad Asti la seconda domenica di settembre ma che inizia, il sabato sera precedente. Il Settembre Astigiano è dominato dalla manifestazione sul vino Douja d’Or, che dura dieci giorni circa, e dal Palio di Asti che si tiene la terza domenica di settembre. Tra i vini più richiesti, le Langhe Chardonnay, Dolcetto e Favorita, il Dolcetto di Diano d’Alba, il Barbera, il Nebbiolo, il Barolo, il Moscato d’Asti, il Ruché di Castagnole Monferrato, il Grignolino d’Asti, il Cortese e il Roero.

Tante sono le Manifestazioni e gli itinerari da seguire e intraprendere in Piemonte, se si ha la fortuna di potersi “perdere” tra le vaste pianure e le grandi montagne, tra una città e un paese, le occasioni di poter gustare un buon vino, o un bel piatto di polenta concia non mancheranno.  Se non avete l’opportunità di vagare spensieratamente allora, vi consiglio come ultimo itinerario la Fiera Primaverile, che accompagna da generazioni la storia di Carmagnola, la manifestazione si svolge il secondo week end di marzo, con due giornate consecutive.  Quest’anno il 9 e il 10 marzo.  L’evento è caratterizzato innanzitutto dall’esposizione della più innovativa meccanizzazione agraria, poi dalle Mostre provinciali delle razze bovine Frisona italiana e Piemontese.  Il grande mercato, 800 bancarelle, animerà le vie della città proponendo non solo piatti tipici ma anche artigianato.  Nella città di Carmagnola inoltre potrete assaporare il dolce frutto del Peperone.  Un tipico ortaggio di cui il Piemonte va fiero sin dalla seconda guerra mondiale, fu infatti il salvatore del popolo in periodo di crisi, venne non solo utilizzato in piatti poveri come la Bagna Càuda ma, fu il solo ortaggio che poté resistere ai climi rigidi di quel periodo.
Dobbiamo molto alla storia e tanto anche ai contadini e al popolo per questi prodotti tipici, delicati e al contempo freschi per i nostri palati.  Impariamo dunque ad apprezzare il nostro passato creando il nostro itinerario personalizzato tra le città del Piemonte!. 

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Oggi andiamo a visitare… il Forte di Bard (Valle d’Aosta)

Già agli inizi del VI secolo d.C. esisteva a Bard una guarnigione composta da sessanta armati che difendevano le cosiddette “Clausuræ Augustanæ“, il sistema difensivo costituito per proteggere i confini dell‘Impero.

Nel 1034 tale sistema fu definito “inexpugnabile oppidum“, ed è questo uno dei più antichi riferimenti ad un castello in Valle d‘Aosta. Nel 1242 entrarono in possesso della signoria di Bard i Savoia, con Amedeo IV, spinti dalle insistenze degli abitanti della zona, stanchi dei soprusi di Ugo di Bard che, forte della posizione del suo castello, imponeva pesanti balzelli a viaggiatori e mercanti. Da quel momento, il castello dipenderà sempre dai Savoia, che vi instaureranno una guarnigione: nel 1661 vengono persino concentrate a Bard le armi provenienti dalle altre fortificazioni valdostane, tra cui Verrès e Montjovet.

Il castello diventerà protagonista poi in occasione del passaggio dell‘esercito francese nel 1704 e soprattutto dell‘arrivo di Napoleone Bonaparte che, nel maggio del 1800, troverà asserragliato nel forte un esercito di difesa formato da 400 austriaci. Le strutture difensive del forte erano talmente efficaci che l‘armata napoleonica impiegò circa due settimane per superarle, riuscendovi solo con l‘astuzia. Il forte venne poi fatto smantellare da Napoleone, per evitare, in futuro, ulteriori problemi.

Quello che vediamo oggi è il rifacimento voluto da Carlo Felice che, in piena Restaurazione, a partire dal 1830 ne fece una delle strutture militari più massicce in Valle d‘Aosta. Alla fine dell‘800 il forte si avviò al declino, utilizzato come bagno penale prima e come deposito di munizioni poi. Dismesso nel 1975 dal demanio militare, fu acquisito dalla regione Valle d‘Aosta nel 1990 e completamente rinnovato nel 2006.

Rimasto pressoché intatto dal momento della sua costruzione, il Forte di Bard rappresenta uno dei migliori esempi di fortezza di sbarramento di primo Ottocento.

La piazzaforte è costituita da tre principali corpi di fabbrica: partendo dal basso si trovano l‘Opera Ferdinando, l‘edificio mediano, – Opera Vittorio – fino ad arrivare al culmine del rilievo, dove sorge l‘Opera Carlo Alberto.

Quest’ultima è la più imponente delle tre opere, che racchiude al suo interno il grande cortile quadrangolare della Piazza d‘Armi, circondato da un ampio porticato, dove si collocano gli spazi dedicati alle mostre temporanee: all‘interno, oltre al Museo delle Alpi, si trovano le Prigioni, che ospitano un percorso tematico multimediale sulla storia del Forte.

Per accedere alla sommità della fortezza è possibile seguire il percorso pedonale che si sviluppa fra possenti muraglioni partendo dall’interessante borgo medievale a lato del parcheggio, oppure servirsi degli ascensori panoramici attraverso cui si può godere di una meravigliosa vista sulla valle circostante.

 

Il Museo delle Alpi

Collocato al primo piano dell‘Opera Carlo Alberto, il Museo delle Alpi è uno spazio interattivo attraverso cui il visitatore può viaggiare alla scoperta del mondo alpino, esplorando con i cinque sensi una montagna vissuta e trasformata dalla mano dell‘uomo. Le 29 sale del percorso espositivo sono suddivise in quattro sezioni, che affrontano la montagna dal punto di vista naturalistico, geografico, antropologico e meteorologico, coinvolgendo gli ospiti di tutte le età, grazie alla fusione fra tradizione e nuove tecnologie.

Le Alpi dei ragazzi

Ospitato all‘interno dell‘Opera VIttorio, è uno spazio ludico in cui i visitatori possono cimentarsi in un‘ascensione virtuale al Monte Bianco, in un contesto propedeutico alla frequentazione della montagna ed alla pratica dell’alpinismo utile non solo al pubblico dei ragazzi, ma anche degli adulti.

Il percorso si sviluppa in nove sale, partendo dalla preparazione del viaggio , durante la quale lo scalatore sceglie l’itinerario più agevole e l’attrezzatura più adatta per affrontare l’impresa, fino ad arrivare alla vetta , passando attraverso le tappe che renderanno un provetto alpinista anche il turista più sprovveduto.

Le Prigioni

Le anguste celle dove venivano rinchiusi i prigionieri ospitano oggi un itinerario storico che guida il visitatore alla scoperta della storia del sito militare, per secoli strategico luogo di transito. Attraverso filmati, documenti e ricostruzioni 3D di grande impatto, i visitatori possono seguire l’evoluzione architettonica della fortezza e conoscere i personaggi che ne hanno segnato i principali avvenimenti storici dall’anno Mille alla sua ricostruzione nel 1830, sino ad arrivare ai giorni nostri.

Forte di Bard
11020 BARD (AO)
Telefono:(+39) 0125 833811
E-mail: info@fortedibard.it
Internet: http://www.fortedibard.it

Ufficio del turismo – Pont-Saint-Martin
via Circonvallazione, 30
11026 PONT SAINT MARTIN (AO)
Telefono:(+39) 0125.804843
Fax:(+39) 0125.801469
E-mail: pontsaintmartin@turismo.vda.it

http://www.lovevda.it/turismo/scopri/cultura/castelli/forte_di_bard_i.asp?tipo=scheda&pk=988&nomesch=sch_Patrimonio

FORTE DI BARD 2010 INNEVATO_bassa

Oggi andiamo ad…. Arbatax

E’ il paese più conosciuto dell’Ogliastra, un pò grazie alla presenza del porto commerciale e turistico, un pò per il nome accattivante, derivato da una parola araba, che significa “quattordicesima torre”, per la torre saracena che domina il lungomare. Arbatax è nata come villaggio di pescatori, molti dei quali provenienti dalla vicina Ponza, e dalla pesca ha ricavato le sue maggiori fortune, grazie ad una notevole varietà di pesci e crostacei. Arbatax sorge sul promontorio di Bellavista, ed è circondata da uno scenario naturale di cale ed insenature che la rendono assolutamente unica ed affascinante. Ad iniziare dalle Rocce Rosse, famose nel mondo per il particolare colore del porfido, la splendida Cala Moresca, nel versante orientale del paese, e proseguendo verso il Telis, la Baia di Portofrailis e San Gemiliano, diventate zone residenziali dalla ricca architettura, si possono ammirare colori e scenari diversi, suggestivi ed ammalianti. 

Arbatax offre una infinità di luoghi da visitare, soprattutto legati al mare e al turismo. Dentro il paese, in posizione irripetibile troviamo la bellissima Cala Moresca, sulla quale si affaccia l’omonimo villaggio e l’Hotel Relais Monte Turri, in zona del Promontorio di Bellavista, dove domina il faro, visibile fino alle pendici del Gennargentu e sede di una base militare. Di fronte alla Marina di Arbatax si vede la lunga e bella spiaggia de La Capannina, che attraverso la Peschiera di Arbatax, congiunge il territorio di Arbatax a quello di Girasole. Lungo tutta la spiaggia si trova lo Stagno di Tortolì, famoso per la presenza dei muggini dai quali si ricava l’ottima Bottarga dell’Ogliastra. Ad Arbatax è imperdibile una visita al piazzale degli Scogli Rossi (Rocce Rosse), posizionati dietro il porto, e simbolo del paese in tutto il mondo. Sul lungomare, a ridosso della bella pineta, si erge la “Quattordicesima Torre” (Arba a Tashar),recentemente restaurata. Proseguendo verso sud, ed aggirando il promontorio, si arriva, attraverso la collina del Telis, alla bellissima Baia di Portofrailis, zona turistica per eccellenza, ricca di ville, residences, alberghi, ristoranti e locali. Sulla baia, nel lato destro, svetta imponente la Torre di San Gemiliano. Proseguendo ancora verso sud, e lasciando la torre sulla sinistra, si arriva alla Baia di San Gemiliano, sede del bel Villaggio Saraceno, e – oltre gli scogli – dell’ Aeroporto di Arbatax-Tortolì. San Gemiliano è la zona delle ville, candidata a zona turistica secondaria di Arbatax e ritrovo delle serate estive grazie alla presenza del gradevole Beach Bar Basaùra.

http://www.ogliastraontheweb.it/arbatax.htm

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Oggi andiamo… sull’Acropoli di Selinunte (Trapani)

Il nome di Selinunte deriva dal greco Sèlinon, termine con cui veniva designato l’appio, sorta di prezzemolo selvatico che, fiorito, emana un intenso profumo), che cresceva abbondante nella zona e che compare anche sulle prime monete coniate dalla città.
Fondata da gente proveniente da Megara Hyblaea nel corso del VII sec. a.C., Selinunte ha vita breve (circa 200 anni di splendore), ma intensa, forse anche grazie all’azione di un governo accorto dei tiranni che vi si sono succeduti. La prosperità della città è testimoniata dall’ampia zona sacrale e pubblica che si estende in tre zone distinte.
Alleata a lungo di Cartagine, dalla quale sperava di ottenere appoggio per contrastare la rivale Segesta, viene infine distrutta proprio dal cartaginese Annibale nel 409 a.C. che usa mezzi e misure ferocissimi: sedicimila i morti selinuntini, cinquemila i prigioieri (Diodoro Siculo). Alla supplica dei superstiti di lasciarli liberi e di risparmiare i templi della città dietro il pagamento di una forte somma, Annibale accetta, ma una volta avuto il riscatto in mano, depreda i templi e distrugge le mura.
Selinunte si rialza a fatica e a stento riesce a reggere fino alla seconda guerra punica quando viene rasa al suolo.

LE ROVINE

Disseminati in una zona semi-desertica, dato che il luogo non è più stato abitato, i templi in rovina innalzano ancora al cielo le loro imponenti colonne, e gli edifici, ridotti ad un cumulo di pietre probabilmente a causa di un terremoto, creano un’impressione di estrema desolazione. Le belle metope che ornavano il fregio di alcuni sono esposte al Museo Archeologico di Palermo.

Si distinguono tre zone. La prima, sulla collina orientale, raggruppa tre grandi templi di cui uno è stato rialzato nel 1957. La seconda, sulla collina occidentale e cinta da mura, è l’Acropoli, a nord della quale sorgeva la città vera e propria. La terza, a ovest   dell’Acropoli, oltre il fiume Modione, era un’altra area sacra con templi e santuari. Dato che non si sa con certezza a chi i templi fossero dedicati, gli studiosi li hanno contrassegnati con le lettere dell’alfabeto.
Per completare la visita sarebbe auspicabile una visita alle Cave di Cusa, da cui provengono i blocchi utilizzati per edificare i templi.

Templi orientali – Il primo ad apparire alla vista è il tempio E, ricomposto nel 1957. Dedicato ad Hera, risale al V sec. a.C. ed aveva una pianta complessa. Vi si accedeva dal lato orientale attraverso alcuni gradini che conducevano, oltre il colonnato, al pronao, preceduto da due colonne delle quali non restano che i capitelli, a terra.
Dietro si trovava la cella sulla quale si apriva una piccola stanza segreta (l’adito)
che accoglieva la statua della dea. Alle spalle si trovava l’epistodomo, identico al
pronao. Sulla destra, il tempio F, completamente in rovina, era il più piccolo ed era probabilmente dedicato ad Athena. L’ultimo, il tempio G, era il più imponente.
Di dimensioni enormi (le colonne, 17 in lunghezza e 8 in larghezza, avevano un diametro di quasi 3.5 m ed un’altezza di più di 16 m) era probabilmente dedicato ad Apollo. Oggi è ridotto ad una massa di frammenti sparsi sul terreno, i blocchi
che costituivano le colonne, del peso di diverse tonnellate, presentano ancora le scanalature, elemento che induce a credere che il tempio fosse incompiuto.

Acropoli – Partendo dal parcheggio davanti all’entrata per i templi orientali, proseguire fino al parcheggio successivo. Si estendeva su un’altura, al di là di una depressione chiamata Gorgo Cottone, dal nome del fiume che un tempo vi correva e che ospitava, alla foce, il porto della città, poi interrato. Cinta da mura fin dal Vl-V sec. a.C. seguiva lo schema classico della città ippodamea, con tre arterie che si incrociavano ad angolo retto, intersecate a loro volta a 90° da strade più piccole. Qui sorgevano, oltre agli edifici pubblici e religiosi, alcune abitazioni delle classi sociali più elevate.
Si costeggia un tratto delle imponenti muri a gradoni che cingevano l’acropoli a est.

I templi – Salendo si scorgono le rovine del tempio A. All’interno, nella parete d’ingresso al naos, si trovavano due scale a chiocciola, le più antiche finora conosciute. Le rovine sono però dominate dalle 14 delle 17 colonne del tempio C, rialzate nel 1925. Dedicato probabilmente ad Apollo o ad Eracle. E’ il più antico dei templi di Selinunte (VI sec. a.C.). Il frontone (decorato da un bassorilievo fittile raffigurante una testa di gorgone) aveva la particolarità di avere la base più lunga dei due lati inclinati, cosa che gli conferiva una forma a pagoda del tutto inusuale. E’ da questo tempio che provengono le metope più belle conservate al Museo Archeologico di Palermo, ove si trova anche la ricostruzione del frontone. Interessante notare l’evoluzione costruttiva awenuta proprio durante l’edificazione di questo tempio: le colonne del lato sud sono ancora monolitiche, mentre le altre sono già a rocchi, più maneggevoli da trasportare. Sull’acropoli sono stati scoperti i resti di altri tre templi.

Le fortificazioni – Percorrendo il decumano maggiore si giunge, in fondo, alla cortina muraria che cingeva l’acropoli. Ciò che vediamo oggi è la fortificazione successiva alla distruzione del 409, edificata con materiale di spoglio (le colonne spaccate a metà che servivano da travi appartengono ad un ipotetico tempio di cui non si conosce ancora l’ubicazione). Passata la Porta Nord si può vedere l’imponente struttura a tre livelli formata da due gallerie sovrapposte sulle quali si aprivano archi per gli spostamenti delle macchine e dei soldati.
Sulla collina della Manuzza, si trovava la zona residenziale della città. A partire dal IV sec. a.C. questa parte venne abbandonata ed utilizzata come necropoli.

Santuario della Malophoros – Per raggiungerlo seguire il sentiero che costituisce il proseguimento del l° cardine a sinistra del decumano maggiore (dall’acropoli). 20 mm AR. Il santuario eretto in onore di Demetra Malophoros (colei che porta il melograno), dea della vegetazione e quindi protettrice degli agricoltori, sorgeva all’interno di un recinto sacro (temenos) sull’altra riva del fiume Modione, scalo marittimo ed emporio della città. Oltrepassato un propileo (si distingue dai monconi di colonne) si giungeva in prossimità di un grande altare sacrificale. Un canale per lo scorrimento dell’acqua proveniente dalla fontana di Gaggera lo separa dal tempio. Quest’ultimo, senza colonne e senza basamento, era formato da un pronao, una cella ed un adito che ospitava la statua della dea.